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Natalia Ginzburg nel labirinto di Proust: il lavoro editoriale alla Einaudi, 1943-1952

Natalia Ginzburg nel labirinto di Proust:  il lavoro editoriale alla Einaudi, 1943-1952Natalia Ginzburg, Roma, 4 luglio 1963, foto Keystone / Hulton Archive / Getty Images

Editoria del '900 «Con assoluta sincerità. Il lavoro editoriale di Natalia Ginzburg (1943-1952)», da Firenze University Press

Pubblicato 12 mesi faEdizione del 1 ottobre 2023

«Però perché quando uno scrive giovane c’è una mano che corregge giovine? Saranno state le mani di Paolo Serini?»: è una domanda che Natalia Ginzburg formula a chiusa della postfazione inserita nella ristampa einaudiana (1969) dell’ouverture della Recherche du temps perdu di Marcel Proust: La strada di Swann. La traduzione di Natalia, uscita nel 1946, fu una delle prime integrali in italiano dell’opera. Il quesito contiene un problema fondamentale della fatica iniziata tanti anni prima dalla giovane poco più che ventenne. Natalia, infatti, era già stata incaricata – nel ’37, a sua memoria – di applicarsi a un’impresa di enorme difficoltà e la nuova richiesta sarebbe stata un esordio, che rafforzava l’accettazione della proposta avanzata alla «Gentile Signora» dallo stesso Giulio Einaudi in una lettera dell’11 agosto 1943, con la quale puntava ora su La prisonnière e Albertine disparue chiedendo solo un accordo di massima teso a proseguire un impegno iniziale: «Sarei lieto intanto – aggiungeva – di avere notizie di Du côté de chez Swann, che le affidai nel 1938. Il contratto che ho stretto con Gallimard m’impone di pubblicarlo entro breve e vorrei metterlo in stampa entro quest’anno».

Sostituire giovane con giovine nell’edizione della «Nue» (1963) curata dall’autorevole francesista Serini, è un dettaglio minimo della volontà di optare, quanto al lessico, su un vocabolario prezioso, da «belle époque» (Vasarri), contraddicendo le finalità di un progetto da offrire a un popolo non ansioso di soluzioni sofisticate. È uno spiraglio che induce a immaginare il non rassegnato fervore del laboratorio improvvisato a Pizzoli, il paesino abruzzese, dove Natalia, affaccendata nei doveri di moglie ma instancabile nella scrittura letteraria, trascorreva insieme a Leone gli anni di confino inflitti dal 1940 al marito. Che in una missiva indirizzata a Luigi Salvatorelli ne tratteggia un quadro commovente: «Per fortuna c’è Natalia; ma stare continuamente con i bambini la assorbe molto, e spesso la stanca; ciò non le impedisce però di vincere spesso la stanchezza e – la sera, quando i bambini sono a letto – mettersi a tavolino davanti a me, che traduco o correggo bozze, e lavorare per conto suo a una novella o a una traduzione: sono, quelle, le nostre ore migliori».

Su questa esperienza e sulle vicende che la segnarono dopo la morte di Leone a Regina Coeli, in conseguenza di feroci torture, nel febbraio 1944, disponiamo ora di una ricerca straordinaria elaborata da Giulia Bassi, tanto filologicamente ricca quanto puntualmente narrativa: «Con assoluta sincerità» Il lavoro editoriale di Natalia Ginzburg (1943-1952) (Firenze University Press, USiena press, pp. 196, € 26,00). In essa si intrecciano tre piani che rispondono alle tre strade in cui si manifesta la personalità di Natalia: traduttrice, redattrice, scrittrice. Il rapporto con la magmatica opera di Proust è certo uno dei filoni più affascinanti e i capitoli del libro si snodano ordinati consentendo di approfondire la conoscenza in ogni fase fino all’intera pubblicazione dei sette volumi della Recherche portata a compimento nel 1949 giovandosi di più traduttori. I criteri basilari della traduttrice sono il massimo di fedeltà possibile al testo e la calzante esattezza nella scelta dei termini: indirizzi tutt’altro che semplici da osservare. Poiché c’era qualcosa di più da aver presente: «Tradussi le prime pagine – scrive Natalia nel ’63 –, avanzando così alle cieca, inoltrandomi nel labirinto di quelle frasi lunghissime, curiosa più di me che del senso di quelle frasi». Leone gli consigliò da subito di procedere lentissimamente, di consultare i vocabolari anche quando sarebbe sembrato superfluo. La traduzione delle sezioni dedicate a Swann, le sole che affrontò, si inframmezzò con altri compiti: durò otto anni. Conciliare l’architettura sintattica del capolavoro con la predilezione per una prosa asciutta e spoglia, fu arduo. Si trattava di conservare il «tono» di una sinfonia e di non cedere a amplificazioni che non rispecchiassero cose e fatti, caratteri e sentimenti reali. A contatto con lo stile di Proust era lo stesso stile di Natalia a formarsi. Lo sliricamento su cui si è soffermato Debenedetti rischiava talvolta di perdere il tono musicale. La colloquialità domestica doveva avere un ritmo ben diverso dagli allusivi scambi aristocratici. Sia Lessico famigliare che La famiglia Manzoni risentono della spinta a indagare tra le pieghe di assetti dinastici complessi come quelli del genio d’Oltralpe. Per dimostrare la plausibilità dell’accostamento occorrerebbero tabelle comparative che allineassero il testo di partenza (e le sue varianti) con gli esiti via via costruiti.

Presso Einaudi la Ginzburg – vice-consulente dal 1945 – assolse il ruolo di selezionatrice di testi letterari («Della narrativa si occupa soltanto Natalia» dichiara Pavese a Muscetta nel ’48). Partecipa attivamente – la prima volta il 9 novembre 1949 – alle famose riunioni editoriali del mercoledì, unica donna in un tribunalizio consesso maschile. Nelle 306 riunioni delle quali sono stati editi i verbali è presente in settanta, fino al ’53, quando segue il marito Gabriele Baldini, direttore dell’Istituto italiano di cultura a Londra. I pareri che Natalia sforna sono accolti con somma attenzione: somigliano a sentenze di primo grado. Il temperamento schietto che l’animava escludeva giri diplomatici. Un manoscritto era nella sua ottica bello o brutto, grigio o vitale. Non aveva riguardi neppure per un amico stimatissimo. Su Giovanni e le mani di Franco Fortini è esplicita: «A me non piace, io sono contraria. C’è qualcosa di un po’ bello in ultimo, ma tutta la prima parte mi sembra piovigginosa, lumacosa». Il carteggio con Silvio Micheli ha un’evidenza rara. Di alcune sue scoperte Natalia è entusiasta e fiera. L’Agnese va a morire (1949) l’accende di ammirazione, per non dire di Menzogna e sortilegio (’48), che inaugura i «Supercoralli». Dopo la morte di Pavese (1950) il suo esame della narrativa è condiviso essenzialmente con Fonzi e con Vittorini, del quale ha una certa soggezione, soprattutto in merito ai «Gettoni». Giulia Bassi nelle stringate conclusioni coinvolge canoni di genere. Sostiene che la risolutezza decisionale di Natalia rovescia «una gerarchia tra i sessi prestabilita che attribuiva all’uomo una maggiore responsabilità». Natalia non si prefiggeva di proposito e tanto meno ideologicamente questo scopo: «Del resto i libri non ha importanza chi li scrive, se gli uomini o le donne. Purché ci sia qualcuno che li scrive» (1946).

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