Natali Shaheen, in campo col numero 11
Sport Prima calciatrice palestinese (residente in Sardegna) a giocare in Italia: a lei il Premio «Sport e diritti umani» indetto da Amnesty International Italia e Sport4Society
Sport Prima calciatrice palestinese (residente in Sardegna) a giocare in Italia: a lei il Premio «Sport e diritti umani» indetto da Amnesty International Italia e Sport4Society
«La loro squadra era più forte sia fisicamente che tecnicamente ed inoltre, avevano speso tanti soldi per mettere in piedi un team vincente. Per noi fu una vittoria determinante che ha cambiato il corso delle cose nel nostro calcio». Così Natali Shaheen, palestinese residente in Sardegna, rammenta la vittoria ottenuta dalla sua nazionale su quella del ben più blasonato Bahrein durante l’edizione 2014 della WAFF [West Asian Football Federation n.d.r.] Women’s Championship, andata in scena al Petra Stadium di Amman, in Giordania.
Quel quattro a zero perentorio rifilato alla rappresentativa dello stato del Golfo Persico, permise alla Palestina di guadagnare fiducia al punto da terminare al secondo posto nella competizione, risultato mai più raggiunto. Ad aprire le danze fu proprio un gol di testa di Shaheen, marcatura che ella stessa giudica come una delle più importanti della carriera. Da allora sono trascorsi dieci anni e lei è ancora in campo con il numero undici sulle spalle e lo sguardo rivolto verso la porta avversaria.
Le sue qualità come attaccante, rapida ed agile nello stretto e dotata di un ottimo piede destro, hanno convinto l’attuale allenatore Nasser Dahbour a convocarla anche per l’ottava edizione della WAFF, svoltasi lo scorso febbraio a Gedda, in Arabia Saudita, dove la Palestina ha terminato il percorso nelle semifinali, sconfitta dalla Giordania poi vincitrice del torneo. Un risultato eccellente se si considera la drammatica situazione nella striscia di Gaza.
Sia lei, in nazionale ricopre il ruolo di vice capitano, che le sue compagne hanno dato il massimo, complice un tasso emozionale altissimo ogni volta che scendevano in campo. La conferma la si ha guardando le partite giocate, facilmente reperibili sulle piattoforme digitali della WAFF. Nel frattempo, le operazioni di guerra condotte dall’esercito israeliano nella striscia non hanno risparmiato neanche il mondo sportivo: un conteggio effettuato ad aprile dalla Palestinian Football Association, elenca cinquantacinque impianti completamente distrutti di cui quarantacinque di questi destinati al calcio, a cui si aggiungono circa centottantacinque decessi tra atleti di ogni genere, minorenni inclusi.
Disumano e terribile sono gli aggettivi che Shaheen usa più volte per commentare la situazione, aggiungendo: «Se vogliamo limitarci a parlare solo della situazione di atlete e atleti, basti pensare che oltre quelli che hanno ucciso, bisogna ricordare gli sportivi mutilati a causa della guerra. Hanno assassinato anche i sogni di queste persone. Praticavano calcio, atletica leggera, basket ed altri sport, come il karate. Mi riferisco alla brava Nagham Abu Samra, che era candidata a partecipare alle prossime Olimpiadi». Nel maggio 2023, la Shaheen ha vinto la quinta edizione del Premio «Sport e diritti umani», indetto da Amnesty International Italia e Sport4Society.
La giuria presieduta da Riccardo Cucchi, le ha attribuito tale riconoscimento «per la determinazione e l’impegno nella difesa dei diritti umani e del diritto allo sport, che dovrebbe essere accessibile a tutti, indipendentemente dalle condizioni economiche, sociali e di genere». La motivazione mette assieme l’unicità della sua carriera e l’impegno profuso nel cercare di abbattere pregiudizi e discriminazioni circolanti nel calcio femminile. A tirare la volata per la consegna del premio è stato il libro Un calcio ai pregiudizi.
Dalla Palestina alla Sardegna dribblando ogni ostacolo, pubblicato da Edes Editrice nel 2022, dove l’autrice, in collaborazione con l’associazione Ponti Non Muri, mette a confronto storie di calciatrici italiane e palestinesi e le relative difficoltà interne ed esterne ai rispettivi mondi di appartenenza. Il testo in questione è figlio della sua tesi realizzata per ottenere nel 2020 il Dottorato di ricerca in Lingue, letterature e culture dell’età moderna e contemporanea all’Università di Sassari, che si aggiunge a quello in Scienze Motorie ottenuto nel 2018 a Gerusalemme.
Risultati considerevoli per la calciatrice nata in quella città il due luglio 1994 ma cresciuta a Gerico: «In una zona centrale di fianco alla scuola cattolica Terra Santa, che ho frequentato e dove insegnavano i miei genitori. Proprio lì, a sei anni d’età, nel campetto di asfalto della scuola ho iniziato a tirare i primi calci al pallone. Per me è stato amore a prima vista e non mi importava di essere l’unica bambina che voleva giocare a calcio. E da subito, non ebbi nessun dubbio nello scegliere il ruolo: a me piaceva fare gol».
Shaheen incontra successivamente anche basket e atletica leggera che frequenta con buoni risultati, ma il calcio è una vera passione e progressivamente, il talento le permette di avere grandi soddisfazioni. A dodici anni entra nelle selezioni della nascente nazionale giovanile, successivamente viene notata dai dirigenti del team Sareyyet Ramallah che la chiamano in squadra.
In quel club cresce e matura calcisticamente, vincendo vari campionati e divenendo un punto fermo anche in nazionale: «Uno dei momenti più emozionanti è stato quando in occasione della nascita del primo campionato femminile nel 2010, vennero invitate tutte le ragazze delle scuole allo stadio di Al Ram, incluse le mie compagne di Gerico: vi erano oltre ottomila tifose sugli spalti, è stato bellissimo. Altrettanto fu vedere diecimila persone nello stesso impianto quando per la prima volta la nazionale ospitò la Giordania. La partita terminò uno a uno, non segnai, ma fu meraviglioso».
A marcare la differenza, sono state le difficoltà che ha incontrato per realizzare tutto questo: «Dovete sapere che andare da una città all’altra per allenarsi non è mai stato semplice. Capitava di trovare il checkpoint chiuso. Quando aperto, accadeva che non ci facevano passare o per vari motivi veniva ritardato il transito delle auto. In ogni caso era difficile rispettare puntualmente la seduta con la squadra.
A volte si arrivava per tempo, ma si era passati attraverso i lacrimogeni poco prima e questo inficiava l’attività sportiva. Da quando sono a Sassari, cose apparentemente banali come andare e tornare dal campo, fare una doccia ed avere il tempo per la propria vita sono una conquista incredibile. La differenza tra giocare in Palestina e in Sardegna e che qui le cose sono normali, quindi facili. Qui, sono libera». L’arrivo nell’isola è stato possibile grazie ad un progetto dell’associazione Ponti Non Muri, realtà sassarese che lavora sulle connessioni culturali e sportive con la Palestina. In terra sarda Shaheen attualmente gioca nel club Real SanService di calcio a undici, divenendo così la prima giocatrice palestinese a gareggiare in Europa, oltre ad avere un lavoro regolare e ad essere allenatrice della scuola calcio del club Latte Dolce di Sassari.
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