Cultura

Narrazioni postapocalittiche dalla fine di tutte cose

Narrazioni postapocalittiche dalla fine di tutte cose

SCAFFALE «Febbre», della scrittrice cinese Ling Ma (edito da Codice)

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 3 luglio 2019

È stato il romanzo d’esordio di Ling Ma, cinese di nascita, ma statunitense per educazione sentimentale. Nel 2018 le ha fatto vincere il Kirkus Prize e le ha aperto le porte dell’università di Chicago, dove attualmente insegna «scrittura». Lo scenario del romanzo Febbre (tradotto in Italia da Anna Mioni per Codice edizioni, pp. 348, euro 19) è pianamente postapocalittico. Una pandemia sta sterminando la razza umana. Ha avuto origine in Cina. Nella zona economica speciale di Shenzhen, cioè la città sorta quasi dal nulla nella provincia del Guandong, regione ritenuta uno dei centri nevralgici della «fabbrica del mondo». La location del romanzo è però a New York, dove la protagonista ha vissuto e lavorato dopo aver lasciato Salt Lake City, la città dei mormoni scelta dal padre per trovare quella buona vita che la Cina non sapeva o poteva offrirgli.

CANDACE CHEN, il nome della protagonista, lavora per una impresa editoriale globale, La Spectra (un nome, un programma), seguendo la pubblicazione di Bibbie destinate a pubblici differenziati stampate appunto a Shenzhen. Le piace fotografare, ha aperto un blog, il «Ny Ghost», dove posta, inseguendo velleità artistiche, scatti comunque stereotipati della Grande Mela. Ama Jonhatan, outsider che pur di non ripetere l’esperienza di un lavoro impiegatizio accetta come una liberazione l’inferno dei free lance. La sua vita procede senza drammi o deviazioni eccessivamente trasgressive da un anonimo procedere. Lavoro, un po’ di mondanità, qualche canna, un pizzico di sesso domestico, shopping frenetico alla ricerca di abiti stilosi per darsi un tono modaiolo e «creativo» anche se si è in fondo alla scala gerarchica sociale del lavoro creativo. Infine, l’ossessione per le creme idradanti, fino alla inarrestabile diffusione della febbre.

Chi è contagiato si trasforma in un pacifico zombie che ripete ossessivamente i gesti della precedente quotidianità. A differenza di walking dead cinematografici e televisivi, quelli di Ling Ma sono innocui. Sopravvivono fino alla morte per inedia, sete, freddo. Il romanzo segue uno spartito che va dal passato della protagonista al presente di un viaggio verso la Struttura, che la guida carismatica e spirituale di un gruppo si sopravvissuti conosce e descrive come una specie di bunker attrezzato per sopravvivere a qualche apocalisse. Si scoprirà essere un centro commerciale alle porte di Chicago, uno dei tanti cresciuti nei processi di gentrification delle metropoli statunitensi.

QUELLA DESCRITTA dalla protagonista più che una apocalisse è una implosione della realtà. Poca la violenza, assenti descrizioni grondanti buoni sentimenti o sangue. «Tornate in famiglia e condividete gli ultimi giorni con i vostri cari», è la frase che ripetono i poliziotti che annunciano la sospensione della metropolitana o la fine dell’erogazione di gas o elettricità. Cosa che spontaneamente tutta la popolazione di New York fa. La Rete è l’ultima frontiera della comunicazione con il mondo, riflettendo l’azzeramento del tempo della comunicazione on line.

I malati sono lapidariamente accostati all’«intelligenza alveare» sulla quale filosofi, media theorist discettano quando analizzano i comportamenti da sciame di uomini e donne dentro e fuori il Web. Sono cioè morti viventi che presi singolarmente sono dementi, ma che in gruppo appaiano esseri capaci di azioni «intelligenti». Più o meno come lo erano nella vita precedente tutte le figure che compaiono nel romanzo, compresi i sopravvisuti, i professional o gli appartenenti alla «classe creativa», una soporifera miscela di yuppie, hipster e millenials che la Grande mela ha battezzato come yupster.

IL ROMANZO di Ling Ma ha l’intimo ritmo narrativo di un blog personale, che non è travolto neppure dalla comparsa dei fantasmi del passato, la madre della protagonista o il suo fidanzato, dei quali se ne erano perse le tracce prima dell’annuncio della comparsa della febbre di Shen. Perché l’inizio altro non è che un interregno tra ciò che muore e ciò che non riesce a nascere.

Non è azzardato il riferimento a un teorico marxista come Antonio Gramsci, perché i critici Usa hanno interpretato, cogliendo nel segno, la Febbre come un romanzo sulla perdita di forza propulsiva del capitalismo e sul suo inevitabile declino nel plasmare il mondo a sua immagine e somiglianza (nelle pagine c’è anche l’occupazione di Zuccotti Park da parte di Occupy Wall Street).

Il dopo, però, non vede nessun sole dell’avvenire, né uomo e donna nuovi. La fine non è neppure il preludio del dominio di un feroce e hobbesiano Leviatano che impone la legge di un tuttavia declinante capitale. La fine è la fine; l’inizio che origina da essa è una strada che va incontro, tra carcasse di automobili e cadaveri mummificati, allo skyline dei grattaceli lugubri di una Chicago al tramonto del suo sviluppo.

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