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Napoli, crolla l’università

Napoli, crolla l’universitàCrollo all'Università di Veterinaria a Napoli

Napoli Di primo mattino viene giù una palazzina di Veterinaria. Danni, nessun ferito. Polemiche: il governo sta ancora tagliando. La causa la mancata manutenzione. Il geologo: enormi rischi per le cavità nel sottosuolo

Pubblicato quasi 9 anni faEdizione del 10 dicembre 2015

Due palazzine del dipartimento di Veterinaria dell’Università Federico II di Napoli sono venute giù ieri. I residenti assistevano spaventati dal marciapiede. Nessuno si è fatto male grazie al custode del complesso. All’alba ha effettuato il suo solito giro, in uno dei due edifici sono ospitati gli animali in cura presso il dipartimento. Verso le quattro di mattina, ha notato la voragine di circa un metro che si era aperta nel vicolo all’ingresso della facoltà, quello su cui affacciano i due palazzi realizzati negli anni 60 e 70. Sulla facciata di uno di essi c’era una vistosa crepa e si sentivano dei sinistri scricchiolii.

Avvisati i tecnici comunali e i vigili del fuoco, i due edifici sono stati sgomberati: i proprietari degli animali li hanno riportato a casa, chi era già a lavoro è stato fatto uscire. Alle sei e mezza le due strutture erano state evacuate: «Sono però rimasti all’interno – racconta il direttore del dipartimento di Veterinaria, Luigi Zicarelli – i macchinari, alcuni appena acquistati, e i computer con i risultati delle ricerche. Se non sarà possibile recuperare le memorie, i dati raccolti andranno persi insieme al materiale in archivio». Nel corso delle ore successive le crepe si sono ampliate e i danni si sono estesi al secondo edificio, proprio accanto al primo. Verso le 13 sono venuti giù i primi calcinacci, le crepe si sono allargate spaccando la facciata, in pochi minuti le pareti sono crollate sollevando un’onda grigia di polveri e calcinacci che è dilatata fino alla strada. La zona era già stata isolata e il traffico bloccato dai vigili del fuoco. L’edificio principale del dipartimento, che risale al Cinquecento, è rimasto intatto: «Le attività didattiche nella parte storica riprenderanno lunedì», prosegue il Zicarelli. Che poi denuncia: «La nuova sede nella zona del Frullone è pronta ma la burocrazia ne blocca l’apertura da tre anni».

Il crollo è avvenuto sulla collina alle spalle dell’Orto botanico e sarebbe stato causato dal cedimento della cavità al di sotto della strada. «Siamo lontani dalla difesa del suolo e dalla gestione delle emergenze. Il fascicolo del fabbricato è l’unico strumento che potrebbe farci conoscere il reale stato di salute degli edifici» spiega Francesco Peduto, presidente del Consiglio nazionale dei geologi. «Abbiamo presentato un’interrogazione al governo per avere informazioni sulla task force che dovrebbe occuparsi dell’edilizia scolastica – il commento dei senatori di Sel Peppe De Cristofaro e Alessia Petraglia -, si occuperà anche dell’università, come è a nostro parere imprescindibile?». I parlamentari M5S in commissione cultura spiegano: «In legge di Stabilità il governo sta tagliando 30milioni destinati all’edilizia universitaria. Con un emendamento noi chiediamo di mantenere quelle risorse». Il deputato campano pentastellato Luigi Gallo aggiunge: «Le palazzine sono crollate, probabilmente, per un’infiltrazione non visibile dalla strada. Napoli è piena di cavità, diventa urgente da parte del sindaco predisporre una verifica degli edifici pubblici per sventare qualsiasi tragedia futura».

La città storica è attraversata da gallerie tufacee: «Sono il frutto dell’attività estrattiva – spiega il geologo Renato Caniparoli – e avvenivano a collo di bottiglia: col materiale estratto si costruiva in superficie l’edificio, la cavità veniva utilizzata per le cisterne d’acqua e le fogne. Poi si sono sfruttate le cave al di fuori del nucleo storico attraverso scavi a galleria, nelle zone poi ribattezzate “cavoni”. Le macellerie, le vinerie venivano realizzate in prossimità di accessi al sottosuolo, per sfruttarlo come frigorifero. Durante la seconda guerra mondiale sono serviti da rifugi. L’utilizzo ne assicurava la manutenzione.

L’abbandono, a partire dagli anni 50, e il conseguente degrado provoca i danni al soprasuolo».

Non è facile individuare a chi competa la manutenzione poiché bisogna prima stabilire di chi è la proprietà, spesso privata e in capo ai discendenti di chi possedeva le cave estrattive. «Se si è persa la traccia – prosegue Caniparoli – il titolo di possesso può passare ai proprietari degli edifici soprastanti». Non è semplice se la cavità non è già mappata. In presenza di un crollo è necessario comunque intervenire: «Iniettare cemento è pericoloso poiché si potrebbe alterare il deflusso delle acque, provocando poi danni dove i fluidi vengono deviati. Il cemento va anche soggetto a ritiro, generando nuovi vuoti e nuovi crolli. La soluzione è la messa in sicurezza e l’utilizzo, che ne assicura la manutenzione. Venti anni fa avevo proposto la creazione del piano regolatore del sottosuolo, dove per altro passano i sottoservizi e le metropolitane».

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