In un festival di Cannes che non vede una numerosa presenza di film provenienti dall’Asia estremo orientale, spicca senza dubbio il nome di Naomi Kawase, la regista che sarà presente in competizione con il suo ultimo lavoro, Still the Water. Quello fra Cannes e la cineasta giapponese è un rapporto molto particolare, dopo aver realizzato una serie di self-documentary molto apprezzati in patria, Kawase viene scoperta dal pubblico mainstream internazionale proprio nella città francese quando nel 1997 con Mo no Suzaku, il suo primo lungometraggio di fiction, vince la Caméra d’Or nella sezione Quinzaine des Réalisateurs. Questo sodalizio col festival di Cannes continua nel 2003 quando presenta Shara nella competizione ufficiale, quattro anni dopo quando vince il Grand Prix per The Mourning Forest e nel 2011 quando porta al festival Hanezu. Per completare il quadro, nell’edizione dell’anno scorso Kawase era membro della giuria, insomma un’artista che piace molto in Francia ed in Europa in generale, forse più di quanto non sia amata e seguita nel suo Giappone. Still the Water è un lungometraggio coprodotto da Spagnam Francia e Giappone e racconta il ritrovamento di un cadavere che galleggia nel mare da parte di Kaito, un sedicenne che vive nella piccola isola subtropicale di Amami, luogo ancora molto ancorato in una spiritualità antica e circolare, e dell’indagine che il ragazzo e la sua fidanzata Kyoko intraprendono per scoprire la verità. Le premesse per un lavoro che tocca i temi più cari della regista, rapporto con la natura, bellezza e crudeltà del creato, spiritualità e significato della morte, ci sono tutti.

Fuori dalla competizione ufficiale ci sarà poi Zhang Yimou che indaga il lascito, il significato postumo e le conseguenze della Rivoluzione Culturale nel suo nuovo film, Coming Home, storia della riunione fra un uomo, sua moglie e sua figlia dopo la forzata separazione dovuta appunto agli eventi scatenati dalla Rivoluzione Culturale. Un film che ha nell’ “amore fedele” il suo tema principale, secondo le stesse parole del regista cinese, e che è un adattamento del romanzo Il criminale Lu Yanshi di Yan Geling. Il periodo di cambiamenti voluti dal presidente Mao Zedong era già stato toccato da Zhang Yimou in due dei suoi precedenti lungometraggi, “To Live” nel 1994 e “Under the Hawthorn Tree” del 2010. Come si sa la Rivoluzione Culturale è un periodo ed un territorio ancora molto delicato per il popolo e le autorità cinesi, questo ha fatto sì che il regista si sia impegnato non poco per la stesura della sceneggiatura, molta attenzione e molto tempo, circa due anni, sono serviti a Zhang Yimou per completare il suo lavoro di scrittura.

Nella sezione Un Certain Regard sarà presente la sud coreana July Jung con A Girl at my Door, debutto con cui la regista racconta la storia di violenze ed abusi da parte di un padre verso la sua figlia adottiva in una remota zona portuale della penisola coreana, situazione a cui cercherà di dare una soluzione la poliziotta Young-nam ma con inaspettate conseguenze. Nella stessa sezione vedremo anche Fantasia del cinese Wang Chao che nel 2006 con Luxury Car vinse proprio nella categoria Un Certain Regard.

Ma il gioiello estremo orientale a Cannes quest’anno è The Tale of Princess Kaguya di Isao Takahata presente nella sezione Quinzaine des Réalisateurs, scandalosamente snobbato dai grandi festival autunnali dello scorso anno, ma per noi uno dei migliori lungometraggi giapponesi usciti nel 2013. Si tratta di un’opera d’animazione che arriva dopo ben 14 anni dall’ultima fatica di Takahata e che probabilmente sarà il suo ultimo lavoro, il regista ha la bella età di 79 anni. Molto calata all’interno della tradizione folklorica che rappresenta e da cui trae origine, l’antico racconto popolare del decimo secolo Taketori monogatari, il film di contro, per il tipo di animazione, è quasi una rivoluzione per lo Studio Ghibli. Il tratto è semplice e di una bellezza pura quasi come fosse un dipinto ad acquerello ma è usato spesso per creare delle scene dal chiaro tono sperimentale, quasi un ritorno all’arte pittorica da cui l’animazione deriva. In una scena la principessa triste ed insoddisfatta della sua nuova vita, scappa dalla casa di città per uscire e correre, correre e correre. In questa fuga il viso aggraziato e dolce si trasforma quasi in quello di un demone con gli abiti principesci colorati di un vivido pastello che svolazzano in cielo a formare quasi una chiazza di colori indistinta. Una scena di odio, quindi a cui si contrappone quella in cui di nascosto la stessa Kaguya-hime assieme alla sua fedele servitrice ed a sua madre, le donne come mondo contrapposto a quello degli uomini più cinico e pratico, si recano ad ammirare i ciliegi in fiore, qui la principessa per un istante felicissima comincia a volteggiarte su di sè ed ancora una volta lo schermo si trasforma in una girandola di colori. La bellezza di queste scene non è fine a sè stessa ma è parte di una storia che per la sensibilità con cui riesce a descrivere il processo di crescita della ragazza, l’amore dei genitori ed il senso del destino compassionevole ma allo stesso tempo permeato di un’ineludibile tristezza, è davvero un capolavoro tutto da (ri)scoprire.