Naoise Dolan, relazioni bisessuali dove anche la grafica gode
Eleanor McCaughey, «Face person», 2022
Alias Domenica

Naoise Dolan, relazioni bisessuali dove anche la grafica gode

Scrittrici irlandesi Raccontata attraverso variazioni stilistiche e narrative, una fluida relazione affettiva e sessuale tra due giovani rivela inconsuete rivendicazioni di irlandesità: «La coppia felice», da Atlantide
Pubblicato 12 mesi faEdizione del 22 ottobre 2023

Siamo tradizionalmente inclini a ritenere che la letteratura, la grande letteratura, debba confrontarsi con gigantesche questioni e mettere in gioco potenti interrogativi. Nella lingua inglese esiste una sola parola, question, che traduce sia questione che domanda, ed è interessante scavare nelle ragioni segrete di questo entanglement, foriero di tante ambiguità e divergenze traduttive: una tra tutte, il famoso monologo di Amleto, in cui il principe di Danimarca si chiede se «essere o non essere» sia una domanda oppure una questione.

Le letterature nazionali – secondo un’impostazione dura a morire negli studi letterari – hanno spesso messo al centro delle proprie narrazioni una serie di questioni e domande attinenti, in gran parte, al discutibile concetto di identità, ambiguo fino alla sua radice, dal momento che non ci parla affatto di soggetti, pensieri e sensazioni identiche, ma sempre di complessi di differenze.

Anche in Irlanda, tutti i grandi del passato, da Wilde a Shaw, da Yeats a Joyce, fino a Heaney, si sono posti immancabilmente la domanda delle domande, la questione delle questioni, ovvero che significa essere irlandesi; declinandola di volta in volta in senso politico, artistico o religioso. Da diversi decenni, invece, e soprattutto nell’ultima generazione, le scrittrici e gli scrittori dell’isola di smeraldo, forse anche per scrollarsi di dosso l’ombra di quei giganti, hanno preso non tanto a parlare d’altro, quanto ad articolare la loro Irishness in maniera diversa: puntando non più a idee generali e altisonanti bensì alle minutiae della vita personale, e riflettendone, come in uno specchio incrinato, la caoticità, l’apparente casualità.

Tra le autrici che, a una lettura superficiale, sembrerebbero mettere in secondo piano la questione del proprio essere irlandesi c’è Naoise Dolan, giovane dublinese istruita anche a Oxford, di cui esce ora il secondo romanzo, La coppia felice (Atlantide edizioni, pp. 272, € 18,00) felicemente tradotto da un’altra scrittrice, Claudia Durastanti. Dopo il suo fortunatissimo esordio, Tempi eccitanti, Dolan torna a raccontarci vicende all’apparenza minime, incentrate sulla relazione affettiva e sessuale assai fluida tra due giovani, Celine e Luke: promessi sposi un po’ per volontà un po’per inerzia, ma incerti fino all’ultimo sul compiere o meno il grande passo.

Celine, pianista impeccabile, ha avuto una storia con una compagna, anche lei concertista, ma più passionale di Luke, che è una vera e propria calamita per entrambi i sessi, e non ha disdegnato rapporti persino con le amiche della sua (forse) futura sposa.

L’ambientazione è tra Londra e Dublino, i due poli che costituiscono la chiave  del discorso coloniale nella letteratura del passato, e l’altalena tra i due luoghi è mediata da uno strano senso di appartenenza. Si è irlandesi, infatti, per diverse vie, oltre che per origini familiari. Esserlo o non esserlo legalmente poco importa: conta il fatto che irlandesi, se lo si è, lo si resta per sempre. E i protagonisti lo sono, ma con una certa loro labilità. L’Irlanda li attrae segretamente, in un modo che ricorda la definizione che diede Einstein di entanglement: una «azione spettrale a distanza», che collega e mette in comunicazione particelle anche enormemente lontane. Nel libro si manifesta in maniera sottile, attraverso il lessico e la sintassi, ad esempio, o anche per via di ammissioni occasionali. È la grande questione sullo sfondo, non meno centrale – tuttavia – di quelle più invasive e cruciali relative all’identità sessuale orgogliosamente rivendicata, e alla rappresentazione di una società finalmente cambiata e pronta a non porre ostacoli e barriere alla libertà individuale. Sebbene nella realtà tutto ciò sia ancora un sogno, stando alla narrativa degli ultimi anni, almeno a quella che incontra un vasto pubblico, la versione ottimistica di Nolan appare felicemente egemonica. Ulteriori motivi d’interesse, nel romanzo,  stanno nei suoi elementi  stilistici e strutturali: diviso in brevi sezioni numerate, tutte in terza persona tranne gli stralci diaristici del promesso sposo –  cui viene dato il privilegio di esporsi direttamente al giudizio sulla sua indecisione – il libro esibisce elementi grafici in qualche modo innovativi, e di certo stranianti. In alcune parti la narrazione è impaginata in colonna, divisa in pro e contro, strutturata un po’ come una sceneggiatura: uno stratagemma che aiuta a conferire al libro un tocco di sperimentalismo, e al tempo stesso funziona come dispositivo comico, diretto ad allentare la tensione, ma non per questo meno affascinante.

Dopo un esordio scoppiettante e consono alle aspettative di un pubblico già avvezzo ai temi odierni della narrativa irlandese, con questo secondo romanzo Dolan sembra misurare i ferri del mestiere e avviarsi, a suo rischio e pericolo, su una strada inesplorata, che non rinuncia alle grandi questioni, scegliendo tuttavia di coglierne il riflesso nei dettagli: ancora nel solco della narrativa il cui tema è una emancipazione sessuale mirata alla messa a fuoco della propria fisionomia identitaria, ma senza più troppi ammiccamenti a quella infelice standardizzazione che viene sollecitata dal mercato editoriale.

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