Naoise Dolan, relazioni bisessuali dove anche la grafica gode
Siamo tradizionalmente inclini a ritenere che la letteratura, la grande letteratura, debba confrontarsi con gigantesche questioni e mettere in gioco potenti interrogativi. Nella lingua inglese esiste una sola parola, question, che traduce sia questione che domanda, ed è interessante scavare nelle ragioni segrete di questo entanglement, foriero di tante ambiguità e divergenze traduttive: una tra tutte, il famoso monologo di Amleto, in cui il principe di Danimarca si chiede se «essere o non essere» sia una domanda oppure una questione.
Le letterature nazionali – secondo un’impostazione dura a morire negli studi letterari – hanno spesso messo al centro delle proprie narrazioni una serie di questioni e domande attinenti, in gran parte, al discutibile concetto di identità, ambiguo fino alla sua radice, dal momento che non ci parla affatto di soggetti, pensieri e sensazioni identiche, ma sempre di complessi di differenze.
Anche in Irlanda, tutti i grandi del passato, da Wilde a Shaw, da Yeats a Joyce, fino a Heaney, si sono posti immancabilmente la domanda delle domande, la questione delle questioni, ovvero che significa essere irlandesi; declinandola di volta in volta in senso politico, artistico o religioso. Da diversi decenni, invece, e soprattutto nell’ultima generazione, le scrittrici e gli scrittori dell’isola di smeraldo, forse anche per scrollarsi di dosso l’ombra di quei giganti, hanno preso non tanto a parlare d’altro, quanto ad articolare la loro Irishness in maniera diversa: puntando non più a idee generali e altisonanti bensì alle minutiae della vita personale, e riflettendone, come in uno specchio incrinato, la caoticità, l’apparente casualità.
Tra le autrici che, a una lettura superficiale, sembrerebbero mettere in secondo piano la questione del proprio essere irlandesi c’è Naoise Dolan, giovane dublinese istruita anche a Oxford, di cui esce ora il secondo romanzo, La coppia felice (Atlantide edizioni, pp. 272, € 18,00) felicemente tradotto da un’altra scrittrice, Claudia Durastanti. Dopo il suo fortunatissimo esordio, Tempi eccitanti, Dolan torna a raccontarci vicende all’apparenza minime, incentrate sulla relazione affettiva e sessuale assai fluida tra due giovani, Celine e Luke: promessi sposi un po’ per volontà un po’per inerzia, ma incerti fino all’ultimo sul compiere o meno il grande passo.
Celine, pianista impeccabile, ha avuto una storia con una compagna, anche lei concertista, ma più passionale di Luke, che è una vera e propria calamita per entrambi i sessi, e non ha disdegnato rapporti persino con le amiche della sua (forse) futura sposa.
L’ambientazione è tra Londra e Dublino, i due poli che costituiscono la chiave del discorso coloniale nella letteratura del passato, e l’altalena tra i due luoghi è mediata da uno strano senso di appartenenza. Si è irlandesi, infatti, per diverse vie, oltre che per origini familiari. Esserlo o non esserlo legalmente poco importa: conta il fatto che irlandesi, se lo si è, lo si resta per sempre. E i protagonisti lo sono, ma con una certa loro labilità. L’Irlanda li attrae segretamente, in un modo che ricorda la definizione che diede Einstein di entanglement: una «azione spettrale a distanza», che collega e mette in comunicazione particelle anche enormemente lontane. Nel libro si manifesta in maniera sottile, attraverso il lessico e la sintassi, ad esempio, o anche per via di ammissioni occasionali. È la grande questione sullo sfondo, non meno centrale – tuttavia – di quelle più invasive e cruciali relative all’identità sessuale orgogliosamente rivendicata, e alla rappresentazione di una società finalmente cambiata e pronta a non porre ostacoli e barriere alla libertà individuale. Sebbene nella realtà tutto ciò sia ancora un sogno, stando alla narrativa degli ultimi anni, almeno a quella che incontra un vasto pubblico, la versione ottimistica di Nolan appare felicemente egemonica. Ulteriori motivi d’interesse, nel romanzo, stanno nei suoi elementi stilistici e strutturali: diviso in brevi sezioni numerate, tutte in terza persona tranne gli stralci diaristici del promesso sposo – cui viene dato il privilegio di esporsi direttamente al giudizio sulla sua indecisione – il libro esibisce elementi grafici in qualche modo innovativi, e di certo stranianti. In alcune parti la narrazione è impaginata in colonna, divisa in pro e contro, strutturata un po’ come una sceneggiatura: uno stratagemma che aiuta a conferire al libro un tocco di sperimentalismo, e al tempo stesso funziona come dispositivo comico, diretto ad allentare la tensione, ma non per questo meno affascinante.
Dopo un esordio scoppiettante e consono alle aspettative di un pubblico già avvezzo ai temi odierni della narrativa irlandese, con questo secondo romanzo Dolan sembra misurare i ferri del mestiere e avviarsi, a suo rischio e pericolo, su una strada inesplorata, che non rinuncia alle grandi questioni, scegliendo tuttavia di coglierne il riflesso nei dettagli: ancora nel solco della narrativa il cui tema è una emancipazione sessuale mirata alla messa a fuoco della propria fisionomia identitaria, ma senza più troppi ammiccamenti a quella infelice standardizzazione che viene sollecitata dal mercato editoriale.
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