Nancy Fraser e Rahel Jaeggi, negli atelier della produzione
TEMPI PRESENTI A proposito di «Capitalismo», di Nancy Fraser in dialogo con Rahel Jaeggi. Ciò che è significativo è l’introduzione del concetto di lotte di confine e della distinzione tra sfruttamento ed espropriazione operata dalla filosofa e femminista statunitense
TEMPI PRESENTI A proposito di «Capitalismo», di Nancy Fraser in dialogo con Rahel Jaeggi. Ciò che è significativo è l’introduzione del concetto di lotte di confine e della distinzione tra sfruttamento ed espropriazione operata dalla filosofa e femminista statunitense
Libro denso, stratificato, dalle molte chiavi di lettura con la capacità di offrire lo sguardo ampio – temporalmente e geograficamente – della longue durée e di una prospettiva «globale». Capitalismo di Nancy Fraser in dialogo con Rahel Jaeggi (Meltemi, pp. 325, euro 20, traduzione di Veronica Ronchi) nasce da una necessità teorico-politica maturata con la elezione di Donald Trump e la rinnovata attenzione alla critica dell’economia politica presente nella discussione pubblica, e dalla necessità complementare di rimuovere alcuni grumi, blocchi della teoria critica rispetto proprio al concetto e alla nozione di capitalismo, non relegabile solo all’egemonia della forma «mercato» nella allocazione e dunque distribuzione ineguale delle risorse nella società.
A PADRONEGGIARE questa materia due filosofe. La prima, Nancy Fraser, è ormai riconosciuta come una figura di punta della nuova sinistra statunitense per aver avuto il merito di innovare una cassetta degli attrezzi ormai usurata dal tempo e da un inguaribile settarismo dei gruppi leftish americani. Sul piano politico si è invece ripetutamente scagliata contro il «neoliberismo progressista», ritenuto l’espressione più eclatante di un governo delle società fondato su un imbroglio: pensare il capitalismo come la forma più auspicabile di pratiche emancipatorie che promuove la valorizzazione dell’eguaglianza e delle diversità all’interno di una sistematica disuguaglianza economica. Per lei, invece, quel che serve è ripensare come funziona questo «ordine sociale istituzionale» al fine di definire pratiche democratiche all’interno di un regime di reale eguaglianza, senza la quale non ci può essere valorizzazione delle differenze. Temi che Fraser ha affrontato nel dialogo con Axel Honneth, Redistribution or Recognition? A Political-philosofical exchange, nel saggio Fortune del femminismo (ombre corte), La fine della cura. Le contraddizioni sociali del capitalismo contemporaneo (Mimesis), e Femminismo per il 99% (con Cinzia Arruzza e Tithi Bhattacharya, Laterza).
Per Rahel Jaeggi, una delle ultime esponenti della Scuola di Francoforte, anche se non nasconde la sua radicale distanza dalle tesi di Jürgen Habermas sulla colonizzazione del mondo vitale da parte dalle logiche economiche del mercato, il capitalismo è una forma di vita che si dipana all’interno di un regime di diseguaglianze strutturale. Temi che la filosofa tedesca ha elaborato nei suoi fortunati Forme di vita e capitalismo (Rosenberg&Sellier) e Alienazione (Castelvecchi).
IL DIALOGO sul fatto che il capitalismo possa essere ritenuto un ordine sociale istituzionalizzato o una forma di vita costituisce la prima parte di questo volume. Molti i punti di convergenza tra le due filosofe grazie all’evocazione di un ospite neanche tanto troppo inatteso: Karl Marx e la sua critica dell’economia politica. Il capitalismo, così, non coincide solo con il mercato, ma è una formazione sociale e politica basata sull’appropriazione privata di una ricchezza prodotta socialmente e con un plusvalore estorto alla forza-lavoro all’interno del processo lavorativo.
Fin qui nulla di sconvolgente. È questo patrimonio della riflessioni tanto ortodosse che eretiche marxiste, aggiungono le due filosofe. Quel che rende importante Marx è la sua capacità di porre in rapporto questo regime di produzione della ricchezza con un modello compiuto di società, di relazioni politiche e financo intersoggettive.
Orizzonte attorno al quale si dipana la seconda parte del volume, la più complicata, articolata. Si spazia da Habermas a Foucault, dai postmoderni alle teorie della giustizia di John Rawls. Quel che è sicuramente significativo è l’introduzione del concetto di lotte di confine e della distinzione tra sfruttamento ed espropriazione fatta da Fraser.
Con la prima espressione la filosofa statunitense indica tutti i conflitti attorno alla distribuzione della ricchezza, il riconoscimento (la razza, il genere), il funzionamento degli stati (la democrazia come oggetto del contendere, non considerandola dunque come la forma politica funzionale al capitalismo), le separazione tra politica ed economia, tra natura e umano; con il secondo polo della riflessione (sfruttamento ed espropriazione) evidenzia il fatto che con l’espropriazione il capitalismo si appropria di materie prime esistenti in natura, ma anche dell’intelligenza collettiva e dell’innovazione prodotte al di fuori della logica capitalistica.
LE PAGINE SU QUESTO TEMA sono rilevanti, antidoto al chiacchiericcio presente in tanta sinistra orfana del quarto stato e del movimento operaio quando mette in opposizione conflitti sul lavoro con i conflitti sui diritti, una afasia del pensiero critico e una vera condanna alla marginalità politica proprio quando invece è salutata come una affermazione orgogliosa di chissà quali identità politiche da recuperare.
Le pagine scorrono veloci. Tutto bene, dunque. Meno di quanto si pensi quando si arriva alla terza parte del volume – la contestazione del capitalismo – dove Fraser e Jaeggi si inoltrano su strade non proprio convergenti. Fraser se la prende con il neoliberalismo progressista, frutto dell’alleanza tra gli imperativi economici e quello dei diritti civili contro quelli sociali (a questo proposito va segnalato anche il suo recente volume Il vecchio muore e il nuovo non può nascere (ombre corte, pp. 75, euro 7); Jaeggi è più propensa a misurarsi con le sperimentazioni, spesso effimere e segnate da un anarchismo naive, ammette, dei movimenti sociali. Al di là delle loro divergenti convergenze, è evidente il tentativo di misurarsi sulla necessità di una teoria critica adeguata al presente. Intenzionalità condivisibile, ma che si sarebbe avvantaggiata se fosse stata rafforzata dal fatto che la produzione di merci ormai non riguarda solo un aspetto della vita individuale o collettiva – la presenza o meno nel mercato del lavoro, sia come lavoratore garantito che come precario – né solo una parte della giornata secondo una tripartizione tra lavoro, riposo e affettività.
LA PRODUZIONE di merci prevede ormai, usando un lessico di Jaeggi, vera e acuta sparring partner in questo dialogo, una mobilitazione quasi totale della natura umana che ridefinisce dunque i confini, le zone di confine tra riconoscimento, espropriazione, sfruttamento, diritti civili e diritti sociali.
Quel che serve, dunque, è assumere il fatto che il capitalismo è sia un ordine sociale istituzionalizzato che una forma di vita; e che la questione dell’organizzazione per definire resistenze e sua contestazione – bella la formulazione che se c’è un potere va organizzato un contropotere. Dunque un libro da meditare e che apre percorsi di ricerca da seguire accettando la possibilità, anzi sapendo benissimo che sono da abbandonare una volta esperita l’ingresso e la vita negli atelier della produzione, dove lotte di classe e di confine sono ormai inestricabili.
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