Cultura

Nadeem Aslam: «Qualcuno, da qualche parte, ha sempre bisogno di aiuto. Per questo scrivo»

Nadeem Aslam: «Qualcuno, da qualche parte, ha sempre  bisogno di aiuto. Per questo scrivo»Bani Abidi, «The Distance From Here», 2010

L'intervista Parla lo scrittore anglo-pakistano che sarà domani al Festivaletteratura di Mantova per presentare «Il libro dell’acqua e di altri specchi», Add editore. Un romanzo che narra le persecuzioni dei cristiani in Pakistan. «I libri sono dispositivi per stimolare la memoria, ci conducono ad uno stato nel quale prestiamo attenzione al mondo e alle sue possibilità, cogliamo dettagli invisibi»

Pubblicato circa 5 anni faEdizione del 4 settembre 2019

Quando, nel 2004, uscì il suo Mappe per amanti smarriti (Feltrinelli), il viaggio nel cuore malato di fanatismo di una parte della comunità pakistana d’Inghilterra che proponeva, valse a Nadeem Aslam la possibile minaccia di una fatwa, come quella che aveva colpito alla fine degli anni Ottanta Salman Rushdie per I versi satanici. La denuncia della visione totalitaria della religione che imprigionava giovani corpi e negava perfino l’espressione dei sentimenti faceva però il paio in quello straordinario romanzo d’esordio con un preciso atto d’accusa nei confronti della società britannica e della sua incapacità a fare degli immigrati dalle ex colonie dell’impero dei cittadini a parte intera.

Quindici anni più tardi, Aslam, nato in Pakistan ma cresciuto in Gran Bretagna, si è ormai affermato come una sorta di scrittore «di frontiera» che attraverso un pugno di romanzi – da La veglia inutile (2008) a Note a margine di una sconfitta (2014), entrambi per Feltrinelli, fino al recente Il libro dell’acqua e di altri specchi (Add editore, pp. 404, euro 18, traduzione di Norman Gobetti) indaga allo stesso tempo e con lo stesso sguardo le derive della cultura, della religione e dell’identità nel mondo occidentale come in Pakistan e in Afghanistan. Nel nuovo romanzo, che presenterà domani al Festivaletteratura (ore 21,30 al Seminario Vescovile con Francesca Caferri), Aslan racconta le persecuzioni subite dai cristiani pakistani, in una realtà dominata dal fondamentalismo ma dove, ancora una volta, la resistenza passa per l’amore, i sensi e le pagine di un libro.

In questo romanzo torna un tema già presente in altri suoi libri, vale a dire l’idea che di fronte alla barbarie e all’oscurantismo la libertà sia possibile solo attraverso la dissimulazione, come fa Nargis, che nasconde a tutti, anche a suo marito, il fatto di essere cristiana. Negare se stessi per esserlo invece, forse, fino in fondo?
La mia solidarietà va ai deboli. E qualcuno, da qualche parte, ha sempre bisogno di aiuto. Vivo in Inghilterra da uomo dalla pelle scura: perciò non mi posso concedere il lusso di fregarmene della politica, né nella vita privata né nel mio lavoro. La deputata Jo Cox è stata assassinata nel 2016 in un villaggio vicino a dove vivo e dopo la sua morte sono comparsi qualcosa come 50mila tweet che inneggiavano all’omicidio. Allo stesso modo, a casa conservo ancora un ritaglio del Daily Mail che nel 1993 spiegava come gli scienziati avessero trovato un collegamento genetico per l’omosessualità: per il giornale di destra le coppie che non volevano un bambino gay avrebbero così potuto ricorrere all’aborto. Vent’anni più tardi, in Occidente abbiamo Trump e la Brexit; gli immigrati sono aggrediti dai neonazisti nella ex Ddr; in una città italiana un uomo ha dato la caccia ai migranti per sparargli. Dall’altra parte del mondo, il Sultano del Brunei ha vietato le celebrazioni natalizie, pena 5 anni di carcere per i trasgressori; l’Arabia Saudita ha dichiarato che l’«istigazione» all’ateismo è «un atto terroristico»; nel 2016, una donna indù è stata assassinata da suo zio in India pochi giorni prima di convertirsi al cristianesimo. Scrivo per tutti loro, è il mio modo di combattere.

Lo scrittore Dadeem Aslam

Lei descrive la sofferenza della minoranza cristiana nel paese delle sue radici e dove passa ancora qualche mese ogni anno. Quale il suo legame con questa realtà?
Mi piace pensare di avere una relazione emotiva molto forte con il Pakistan, anche se si tratta di un paese che ti pone costantemente difronte ad un terribile dilemma morale, visto che lì la discriminazione è evidente: un insegnante può chiedere a uno studente cristiano di alzarsi e cedere il posto a un musulmano. Il vescovo John Joseph si è ucciso a Faisalabad nel 1998 per protestare contro le leggi sulla blasfemia che colpiscono i non musulmani. Per il romanzo ho dovuto inventare ben poco, era tutto lì davanti ai miei occhi.

Nei suoi romanzi, i libri appaiono come una sorta di rifugio e protezione da ogni minaccia. In questo caso, Massud ritrova un volume perduto, scritto da suo padre e intitolato «Affinché si conoscano a vicenda» che enumera le molte occasioni di incontro tra la cultura occidentale e quella musulmana: un antidoto al fondamentalismo che domina il Pakistan. Per lei cosa rappresentano i libri?
Sono lo strumento attraverso il quale trasmettiamo la conoscenza da una generazione all’altra. I libri sono dispositivi per stimolare la memoria, ci conducono ad uno stato nel quale prestiamo maggiore attenzione al mondo e alle sue possibilità, cogliamo dettagli fino a quel momento invisibili. C’è una poesia del 1851 di Longfellow intitolata proprio The Golden Legend (il titolo originale di quest’ultimo romanzo che fa però riferimento diretto alla Legenda Aurea di Jacopo da Varazze). Inizia con la straordinaria immagine della Cattedrale di Strasburgo durante una grande tempesta. Nell’Ottocento era l’edificio più alto del pianeta e nei versi iniziali del poema Lucifero e i suoi spiriti stanno cercando di strappare la croce dalla guglia mentre il vento ulula intorno a loro: fuggiranno solo al suono delle campane. Voglio pensare che quella guglia e i minareti nel mio romanzo siano in qualche modo collegati, come lo è l’idea che due amanti intraprendano un viaggio pericoloso verso la libertà: ne aveva scritto Longfellow prima di me.

«Il libro dell’acqua e di altri specchi» è uscito in Gran Bretagna nel 2017, dopo la vittoria del referendum sulla Brexit dominato dall’allarme per l’«isola invasa dai migranti». L’idea di descrivere come vivono gli appartenenti ad una minoranza, in questo caso i cristiani in Pakistan, rischiando la vita ogni giorno, voleva essere un modo per spiegare perché le persone potessero cercare rifugio in Occidente?
Senza dubbio. Ma c’è anche dell’altro. I ricchi in tutte le nazioni cercano di distrarci con le bugie, così che non ci si accorga del fatto che stanno diventando ogni giorno più ricchi rubando. Le bugie che raccontano possono essere diverse in momenti diversi. Oggi stanno cercando di distrarci dicendo che i nostri problemi sono dovuti agli immigrati o a donne non «femminili» e uomini non «maschili», o ancora al multiculturalismo. La tragedia è però che alcuni di noi ci credono. Non dovremmo. I nostri problemi sono il risultato diretto di ciò che hanno fatto le banche e i sistemi finanziari del pianeta.

Lei vive una parte dell’anno nello Yorkshire, una regione dove la Brexit ha raccolto molti consensi. In questo senso, quanto è cambiata la Gran Bretagna dai tempi di «Mappe per amanti smarriti», in cui si interrogava sulla deriva delle comunità immigrate e sul razzismo che montava nel paese, complice anche il clima del dopo-11 settembre?
Voglio risponderle parlando di me. Ricordo un periodo, quando avevo tra i 20 e i 30 anni, nel quale mentre leggevo un giornale diventavo sempre più ansioso mano a mano che mi avvicinavo alle pagine interne. Era lì che si trovava la maggior parte delle notizie «internazionali», le news che arrivavano da fuori l’Occidente, i disordini, i massacri e le ingiustizie che avvenivano nei paesi in via di sviluppo – una parte del mondo a cui mi sento profondamente connesso. Ma con il passare degli anni, mi sono scoperto ansioso già quando comincio a leggere la prima pagina del giornale. Il veleno e il sangue sono penetrati attraverso gli strati di carta e sono ormai visibili fin dalla «prima». E ogni luogo è parte di ogni luogo, tutto è interconnesso, intrecciato, quasi non ci fossero più le vecchie divisioni tra Oriente e Occidente. Forse è anche per questo che mai come oggi il mondo è apparso così ossessionato dalle divisioni. Al riguardo, Donald Trump che vuole costruire un muro mi ricorda un bellissimo dipinto realizzato da Frida Kahlo negli anni Trenta, in piedi in un abito rosa al confine tra Messico e Stati Uniti. Guardo quel dipinto e penso: se vogliono costruire un muro non possiamo fermarli; ma saremo i Frida Kahlo in piedi su quel muro, ribelli, con gli abiti più belli che possiamo trovare.

Quando uscì «Mappe per amanti smarriti», lei parlò dell’orribile omicidio «d’onore» perpetrato in una famiglia pakistana della Gran Bretagna, che è al centro del romanzo, come di «uno dei tanti piccoli 11 settembre quotidiani, ai quali per troppo tempo non abbiamo prestato attenzione e non abbiamo reagito». Come si reagisce all’orrore quando indossa gli abiti della «tradizione», della «comunità», della difesa di identità che si dicono minacciate della globalizzazione quando non dall’«occidentalizzazione del mondo»?
Riparto ancora una volta dalla mia esperienza. Islam e marxismo sono i due filoni del mio dna, la doppia elica del mio motore. L’Islam, che ho ricevuto da mia madre e la sua famiglia, e il marxismo, che mi è arrivato da mio padre e dai suoi fratelli. Islam e marxismo sono molto diversi (ed io non sono né religioso né marxista nel vero senso della parola) ma ho amato molto il fatto che abitassero entrambi, con la loro presenza opposta, in casa mia. «Due secchi sono più facili da trasportare di uno/ ed io sono cresciuto in mezzo», scriveva il poeta irlandese Seamus Heaney. I miei genitori mi hanno insegnato a continuare a lottare, sempre. Mia madre religiosa ha lottato contro il male morale e spirituale ogni singolo giorno, e mio padre ha lottato contro il male sociale e politico ogni singolo giorno. Ecco dove trovare risorse per alimentare la speranza, per me come per tutti gli altri. L’oppressione non sparirà mai, ma nemmeno la resistenza.

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