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Nacque in Grecia la filosofia? Lo dice la tradizione ma…

Nacque in Grecia la filosofia? Lo dice la tradizione ma…Calco in gesso dal fregio della Cella del Partenone ad Atene

Civiltà classica Dall’attenzione riservata da Erodoto e Platone alle civiltà orientali sino alla «tradizione» culminata in Hegel e Nietzsche: Filosofia greca e identità dell’Occidente, l’imponente studio di Giuseppe Cambiano edito dal Muilino

Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 11 settembre 2022

Il titolo dell’imponente volume di Giuseppe Cambiano (quasi 800 pagine) Filosofia greca e identità dell’Occidente Le avventure di una tradizione (il Mulino «Collezione di testi e di studi. Filosofia», euro 50,00) ottimamente esprime il complesso contenuto del lavoro, in un esame che procede dall’antichità greca, romana ed ebraica (nel primo capitolo) sino a Nietzsche (nell’ottavo e ultimo capitolo, Da Hegel a Nietzsche) con straordinaria ricchezza di dettagli e ampiezza di prospettive. Intento dell’opera è delineare come e per quali processi storici e culturali si sia giunti a considerare – in epoca piuttosto vicina, in realtà – la Grecia «terra di origine della filosofia», e specificamente della filosofia occidentale: in un’ininterrotta catena che ci riporta ai presocratici ionici e alla storia, «della filosofia» appunto, che ne è sortita.
Il capitolo d’apertura (Greci e Romani, Ebrei e cristiani), dedicato all’antichità, fornisce le coordinate necessarie per affrontare il resto del lavoro. Subito si rileva che i maggiori autori greci di V e IV secolo, e particolarmente Erodoto e Platone, dimostrarono notevole attenzione verso una «sapienza barbara», cioè orientale ed egizia, da presupporsi alle sorgenti della filosofia greca. L’assai maggiore antichità delle civiltà orientali era cioè tema ben chiaro ai Greci di età classica, e sempre più rilevante diverrà con l’età ellenistica. La consapevolezza della remota antichità delle civiltà del Mediterraneo orientale e della Mesopotamia significò già per i Greci considerare, e in genere anche ammettere, la possibilità che un «sapere orientale» precedesse l’opera dei primi «saggi» e filosofi greci, che a esso avrebbero largamente attinto: secondo un modello «diffusionistico» (o comparatistico) che avrà grande fortuna nell’intera antichità greco-romana, passando al Medioevo e spingendosi sino alla fine del XVIII secolo. È merito del libro di Cambiano aver ripercorso la fortuna sino all’Illuminismo di questo sapere orientale presuntamente da porsi alle origini della filosofia greca, e aver anzi mostrato che per millenni la visione prevalente dall’antichità trasmessa all’età moderna attraverso il medioevo occidentale e bizantino, «è consistita nel considerare la filosofia greca soltanto come un ingrediente di una più ampia teologia diffusa tra i popoli orientali già prima dei Greci (Hermes, Zoroastro)», come ottimamente è chiarito sin dall’Introduzione.

Decisivo il ruolo di Roma
Si tratta appunto di una «vicenda di lunga durata», di cui si è generalmente del tutto persa nozione, e che dall’antichità giunge sino al Settecento europeo, attraversando «il recupero rinascimentale di una prisca theologia o di una perennis philosophia». Dall’indagine di Cambiano emerge la paradossale conclusione che anche nel mondo antico poche furono le rivendicazioni del carattere specificamente greco della filosofia, affermazione che da circa due secoli la nostra cultura, anche nei suoi aspetti più generici e pop, considera ovvia, e anzi fondante il concetto stesso di «cultura occidentale». Nell’intricata e dimenticata vicenda che condusse a concepire la filosofia come una creazione specificamente greca un ruolo decisivo ebbero la diffusione e la ricezione della filosofia greca a Roma, in forma più chiara e strutturata progressivamente a partire dal II secolo a. C. Da Lucrezio a Cicerone a Seneca, Cambiano si sofferma sull’evoluzione dell’immagine della filosofia greca presso gli autori romani, in una parabola che dall’insistenza lucreziana sulla grecità della filosofia epicurea capace di liberare dal peso della religio approda a Seneca, che nel mondo «globalizzato» dell’impero più non avverte «il problema drammatico della compatibilità» della filosofia greca con l’identità romana, sotto imperatori sempre più grecizzanti e filelleni.
Determinante, per i destini futuri dei filosofi greci e la stessa sopravvivenza delle loro opere, sarà ovviamente l’atteggiamento assunto dal cristianesimo, anche in quest’ambito con una pluralità di voci e approcci, e differenze tra pars Orientis e pars Occidentis dell’impero. Dal complesso della produzione paolina emerge una qualche conoscenza delle filosofie correnti, viste come espressione di quella sapienza «secondo la carne» cui la fede in Gesù Cristo morto e risorto integralmente si contrappone. Nella vasta e labirintica produzione cristiana apologetica e patristica, greca e latina, centrale fu ovviamente il confronto con la filosofia greca (e romana in quanto derivata). Nell’insieme dominò l’esigenza di assegnare alla filosofia dei Gentili una collocazione nella «vera e propria storia, la storia della rivelazione divina e della salvezza», come successe peraltro con l’intera civiltà greco-romana, sottoposta al giudizio e alla selezione di quella che può definirsi una nuova filosofia della storia. Particolarmente rilevante fu in questo contesto la rivendicazione, già nei primi apologisti greci del II secolo come Giustino e Taziano, della priorità cronologica della Scrittura ebraica rispetto ai più antichi filosofi greci, nonché l’esplicita affermazione della dipendenza di quei filosofi, e in particolare di Platone, dalla Bibbia, da cui avrebbero tratto dottrine quali quella dell’immortalità dell’anima e della sua punizione dopo la morte in caso di colpa.
Ricchissimi si presentano i successivi capitoli, procedenti in ordine cronologico, a partire dal millennio bizantino, e dalla relativa sua estraneità alla filosofia greca in quanto tale (che pure naturalmente i bizantini conservarono negli autori e nelle opere che perverranno all’Umanesimo italiano del Quattrocento) appunto perché pagana. Con Michele Psello, nell’XI secolo, si torneranno a riannodare i fili «tra la filosofia greca, in particolare platonica, e la sapienza “orientale”, in particolare caldaica», quando peraltro da vari secoli l’interesse per la filosofia greca, in taluni suoi ambiti, s’era risvegliato nel Vicino Oriente, tra siriaci e arabi, attraverso un’intensa attività traduttoria, legata a una vera «ideologia della traduzione» sviluppatasi dapprima nell’impero sassanide, pre-islamico. Sicuro merito di Cambiano è anche in questo caso recuperare momenti della storia della tradizione «classica», nel suo senso più ampio, ignoti o quasi se non a pochissimi specialisti: così ad esempio l’idea, elaborata presso la corte sassanide persiana, che filosofia e scienza greca non fossero che «un derivato del sapere zoroastriano o comunque babilonese», fatto tradurre in greco da Alessandro Magno. L’ideologia imperiale sassanide, volta a presentare l’Avesta zoroastriana come fonte e origine per tutte le nazioni di tutte le scienze e della filosofia, si trasmise, anche in quanto cultura della traduzione, ai successivi califfi abbasidi, in funzione anti-bizantina: nella convinzione che «i musulmani, superiori per l’islam, lo erano anche perché apprezzavano l’antico sapere greco e ne avevano tradotto i libri in arabo». Da non tacersi il panorama che Cambiano dedica sia all’imponente attività di traduzione dal greco all’arabo incentrata su Baghdad, sia alla produzione di originali opere arabe di filosofia, con l’assoluta centralità assunta dalle opere di Aristotele, a fronte della trascuratezza riservata a Platone, conosciuto soprattutto indirettamente.

Bessarione e Ficino
Nell’impossibilità qui di delineare se non per sparsi cenni il percorso tracciato da Cambiano per i secoli successivi, sino alla fine dell’Ottocento, è opportuno almeno richiamare la ripresa nell’Italia del Quattrocento della tesi della dipendenza di Platone dalle Scritture ebraiche: presente nel greco cardinal Bessarione, e ugualmente in vari tra i maggiori umanisti italiani, e soprattutto in Marsilio Ficino, nei cui scritti continuamente ritorna il riferimento a un’antica sapienza teologica d’Oriente anteriore alla filosofia greca, nel nome di una originaria prisca theologia. Agiva in Ficino, come poi agirà in Erasmo, anche la volontà di rispondere alla crisi del cristianesimo contemporaneo attraverso una ripresa dell’antica e primigenia teologia, nell’assunto che «ripristinare l’antica teologia significava ripristinare in prima istanza Platone e il platonismo e ciò avrebbe contribuito decisamente alla renovatio della religione cristiana».
Alle tappe che condussero alla rottura con questa tradizione è dedicato per quasi cento pagine il capitolo quarto, Scienza moderna e sapere antico, aperto dalla figura dell’inglese Francesco Bacone (1561-1626). Nell’opera di Bacone si può ravvisare «un modo diverso di considerare la filosofia greca», accostata dal punto di vista della nuova filosofia della natura, strumento per la rifondazione dell’intera cultura del futuro. In un mondo liberato dal pregiudizio dell’autorità, dall’aristotelismo stantio, dal culto dell’erudizione umanistica, poteva delinearsi secondo Bacone una nuova visione della Grecia antica, riportata ai suoi contributi filosofici e scientifici rimasti da quasi duemila anni senza seguito e sviluppo, e a sua volta liberata dall’ipoteca caldea, egizia ed ebraica. Confermandosi anche per quest’aspetto una delle figure decisive nel forgiare il pensiero moderno, Spinoza a sua volta sferrò «uno degli attacchi più radicali all’idea che i filosofi greci avessero derivato le loro dottrine teologiche dalla sapienza ebraica».
La seconda metà del libro è dedicata a mostrare come nel corso del XVIII e del XIX secolo, particolarmente in Germania (ma importante fu il contributo anche di Vico) venne affermandosi la visione della Grecia quale «culla della filosofia»: anche per l’Illuminismo francese comunque «l’origine greca della filosofia nella sua connessione con l’esistenza della libertà politica» finì per divenire un vero e proprio topos, così segnando una ulteriore rottura con le posizioni tipiche della cultura della Res publica litterarum seicentesca, odiato simbolo (già per Cartesio) dell’erudizione in lingua latina e della supremazia delle dispute teologiche. L’immagine del mondo greco come età della gioventù e della bellezza, propria di Winckelmann, nel neoumanesimo tedesco tra Sette e Ottocento, al meglio esemplificato negli scritti di Wilhelm von Humboldt, si carica di nuovi motivi, importantissimi nella storia dell’educazione europea: il confronto con la grecità, esperito soprattutto nella lettura in originale della letteratura di età arcaica e classica, viene a significare il contatto con una forma ideale di umanità, essenziale per il configurarsi stesso della autocoscienza dei moderni, definitivamente allontanatisi dal cristianesimo e dal suo influsso (per Humboldt «la pietra di paragone delle nazioni moderne è il loro sentimento dell’antichità», cioè della grecità). Contemporaneamente in figure come Hölderlin, Schelling, Friedrich Schlegel convergono neoumanesimo, romanticismo e idealismo nel decisivo passaggio in Germania dal Sette all’Ottocento, nell’età della Rivoluzione. In quel ribollire di idee nuove e contraddittorie cade definitivamente ogni collegamento tra filosofia greca e mondo ebraico o orientale, finché con Hegel (naturalmente «contrario all’idea di una rivelazione originaria e quindi di una prisca theologia») si assiste alla definitiva «occidentalizzazione» della filosofia greca, nel nesso necessario tra filosofia e libertà, che rimanda alla polis e al destino di libertà dell’Occidente, e primariamente anzi del mondo germanico.

Immagini storiografiche
Poco prima della pubblicazione di Filosofia greca e identità dell’Occidente Cambiano ha raccolto cinque saggi, quattro dei quali apparsi negli anni ottanta e novanta, con il titolo La scienza e l’irrazionale Immagini storiografiche della Grecia antica (Edizioni della Normale, pp. 191, euro 10,00). Dei cinque saggi, due riguardano grandi figure dell’antichistica tedesca del XIX secolo (August Boeckh e Hermann Usener) e uno il rapporto con «il sapere degli antichi» dell’esploratore e naturalista Alexander von Humboldt, fratello di Wilhelm: il volumetto si lascia accostare a Filosofia greca e identità dell’Occidente per l’interesse a indagare come si sia giunti a considerare la Grecia antica «luogo d’origine della razionalità scientifica», e contemporaneamente (non solo a partire dal famoso I Greci e l’irrazionale dell’inglese Eric R. Dodds, pubblicato nel 1949) «terra pervasa da credenze e pratiche irrazionali». Anche qui, in certo modo, «alterità coesistenti», come Cambiano si esprime in chiusura dell’introduzione al suo magistrale Filosofia greca e identità dell’Occidente a proposito della «dimensione aperta e plurima» propria della filosofia greca, che proprio lo studio della storia della sua costruzione e interpretazione in modo esemplare vale a rivelare.

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