Victor Osimhen segna a Udine il gol dell 1-1 e la piazza esplode: «Abbiamo un sogno nel cuore, Napoli torna campione». Il terzo scudetto dopo 33 anni torna sotto il Vesuvio, partono i fumogeni e pure la luna piena diventa azzurra. Sessantamila allo stadio San Paolo-Maradona a soffrire Udinese – Napoli davanti ai maxi-schermi, oltre tredicimila in trasferta con la squadra, il resto dei partenopei in ogni strada e piazza a seguire la partita dagli schermi tv, il secondo assalto al terzo scudetto ieri sera è stata una nuova sofferenza collettiva. Al murale di Maradona ai Quartieri spagnoli inizia il rito: tifosi in circolo, fumogeni e cori per tutto il pomeriggio. A Banchi nuovi tutto il quartiere intona «Qui per te, son qui per te». Un quarto d’ora e il Napoli è sotto di un gol: «Guagliu’ cantiamo», «ma stiamo perdendo», «ma noi siamo di Napoli, non ce n’è mai importato». E così riprendono i canti «Gonfia la rete, Osimhen gonfia la rete», «Vesuvio erutta, tutta Napoli è distrutta» cioè il coro contro i partenopei che la tifoseria azzurra ormai canta a squarciagola, trasformato in un esorcismo.

I FESTEGGIAMENTI È un terzo scudetto differente dagli altri due del 1987 e 1990. Non si gioca più tutti di domenica, la matematica ha tenuto impegnati i tifosi in calcoli con più variabili per stabilire le possibili date della vittoria matematica. E i festeggiamenti si stanno spalmando lungo più di un mese. Un primo sussulto domenica scorsa, strozzato in gola dal pareggio della Salernitana. Niente rabbia, nessuna delusione: «Non è oggi, non è mercoledì ma tanto succede» ripetevano i tifosi in strada tra cori, balli e bandiere. Vomero, via Luca Giordano, balcone al primo piano tutto azzurro, all’esterno le casse e in strada la folla che balla. Sul tormentone Freed from desire di Gala parte il coro all’indirizzo del governatore salernitano della Campania: «De Luca erutta, tutta la città è distrutta».

Il dirigente scolastico Piero De Luca dell’Istituto comprensivo “Sauro Errico Pascoli” di Secondigliano ieri si è visto recapitare una lettera dagli alunni dell’elementare II Ap: «Gentile Preside, il giorno 5 maggio la classe chiede di poter venire a scuola con i capelli azzurri per festeggiare lo scudetto tanto atteso del Napoli, inoltre la classe chiede l’uscita anticipata come regalo da parte Vostra. Confidiamo nel vostro buon cuore» con il cuore disegnato in azzurro, seguono firme, recapitata al destinatario da una delegazione di classe. Prima richiesta accolta.

Gli assenti. Tutto bene? Non proprio. Se i turisti sono tornati a casa senza la foto simbolo, i più delusi domenica scorsa erano i napoletani emigrati, sciamati in città proprio per sentirsi parte dell’eruzione. Ragazzi e ragazze tornati dagli Usa, da Malta, da Londra. O dal Nord, Bergamo, Varese, Milano, Arezzo. Da città dove le tifoserie, magari senza comunicati ufficiali, hanno fatto sapere che non sono graditi i festeggiamenti azzurri. Ma neanche questo ha scalfito l’umore della città, la frase ricorrente è «li dobbiamo far morire pazzi» (sottinteso gli italiani). Ieri l’esplosione è stata solo per i residenti mentre un pezzo di tifoseria è volata a Udine per sostenere Osimhen e compagni.

Oggi altro sussulto per il rientro della squadra a Napoli e domenica stadio San Paolo-Maradona sold out per la partita in casa con la Fiorentina.

LA FESTA UFFICIALE IL 4 GIUGNO Gli striscioni. La città è bardata di azzurro. È cominciato in sordina a fine marzo e poi è diventata tutta una frenesia a partecipare, aggiungere, saturare. Alla fine è partito lo sfottò dei napoletani a se stessi. Sui social la foto dell’astronauta sulla luna che posa la bandiera del Napoli: «E con questo abbiamo finito con gli addobbi». E per battezzare la doppia vittoria in campionato sulla Juventus al corso Vittorio Emanuele è stato disegnato il profilo del corpo di Cuadrado sul marciapiede come omaggio ai suoi tuffi in campo.

Nel 1987 la vulgata vuole che la frase simbolo del primo scudetto sia stata lo striscione fuori il cimitero: «Che vi siete persi». Pare però che sia un mito metropolitano. Di sicuro su piazza Trieste e Trento c’era la scritta: «E mi diciste sì na sera e maggio».

Il canzoniere napoletano ha ispirato anche lo striscione del secondo scudetto, liberamente tratto da Resta cu’ mme: «Nun ‘me ‘mporta aro’ si stat basta ca si turnat». Il tema del terzo è l’attesa così al Vasto: «E che c’è vvuluto» con un San Gennaro benedicente. Al Borgo Sant’Antonio Abate: «Me’ crereve ca murevo e stu’ iuorno nunn o’ verevo». Da una settimana all’altra, autorità cittadine e stampa hanno ripetuto in loop: «Non imbrattate i monumenti, niente auto, prudenza» con un tono da preapocalisse. Così sui profili social è iniziato il tormentone: «Mi raccomando, ricordatevi di chiudere luce e gas». Su questo i napoletani non ammettono lezioni: «Sappiamo festeggiare – spiega Natalia – perché lo facciamo sempre: battesimi, comunioni, cresime, matrimoni, compleanni, onomastici festeggiamo sempre».

LA COMPILATION Ogni rione, ogni strada, ogni slargo ha tirato fuori il suo sound system. A dominare la selezione, tra una cronaca dal campo e una pausa tra un tempo e l’altro, sono i tormentoni dello stadio. Ci sono i classici dell’epoca maradoniana come il Nino D’Angelo de I ragazzi della curva B e poi ci sono gli inni che hanno segnato le curve in particolare dalla stagione di Sarri in avanti: «Un giorno all’improvviso / mi innamorai di te / il cuore mi batteva / non chiedermi il perché» oppure «Per te / sono qui per te / io della maglia azzurra so’ innamorato / Non me lo so spiegar di te malato». E ancora: «È passato tanto tempo / non ci lasceremo mai / siamo figli del Vesuvio / forse un giorno esploderà» o «Sarò con te e tu non devi mollare / abbiamo un sogno nel cuore / Napoli torna campione». E a legare epoche e stagioni il super classico ‘O surdato ‘nnammurato.