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Myanmar, oggi si vota ma la strada per la democrazia è lunga

Myanmar, oggi si vota ma la strada per la democrazia è lunga

Myanmar I monaci buddisti di «Ma Ba Tha» sono integralisti e negano la convivenza tra diverse religioni

Pubblicato quasi 9 anni faEdizione del 8 novembre 2015

Le strade birmane sono affollate di pavoni combattenti e dorati, ricamati sulle bandiere rosse del partito di opposizione al governo. Oggi si celebrano le prime elezioni presidenziali relativamente libere e imparziali in molti anni per il Myanmar. Il paese, che era conosciuto in precedenza come Birmania, è stato governato da una giunta militare per quasi cinquant’anni. Le precedenti elezioni del 2010 erano state boicottate dalla National League for Democracy (Nld), il partito guidato dal Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi, la daw, «the Lady».

All’epoca infatti l’icona della democrazia conosciuta da tutto il mondo era ancora agli arresti domiciliari e sarebbe stata liberata solo una settimana dopo le consultazioni. In seguito al colpo di stato militare del 1962 si erano tenute altre elezioni soltanto nel 1990 quando l’Nld ottenne una vittoria schiacciante, inspiegabilmente inaspettata dalla giunta militare, che aveva negato il risultato e mantenuto un governo dittatoriale. Oggi per la prima volta ci saranno 150 osservatori dall’Unione Europea per monitorare che il processo elettorale avvenga regolarmente. I partiti in corsa sono novantuno: il vasto numero è dato dall’esigenza di rappresentanza manifestata dalle numerose minoranze etniche del Paese. Il Myanmar è infatti una nazione che sorge dall’Impero coloniale britannico, che pose sotto un’unica amministrazione territori abitati da popoli con culture profondamente diverse una dall’altra: la maggioranza bamar e poi i karen, i kayah, i kayin, i kachin, gli shan, i chin, i mon, i rakhine (questi i gruppi etnici riconosciuti ufficialmente), e ancora i birmani di etnia cinese, i panthay, i birmani di origine indiana, gli anglo-birmani e i gurkha, per nominarne altri numericamente rilevanti.

Il Paese è stato attraversato da sanguinose guerre civili sin dalla sua indipendenza, ottenuta nel 1948, le quali vedevano l’esercito centrale birmano in opposizione ai popoli minoritari e ai loro gruppi armati. Dopo lunghe trattative, supportate con insistenza dagli Stati uniti, il 15 ottobre è stato firmato un cessate il fuoco nazionale con alcuni dei gruppi armati. L’ambizione è di rendere possibile una convivenza pacifica tra questi popoli all’interno di uno Stato federale, nel rispetto delle specificità di ognuno. Ma questo obiettivo non convince tutti, sia per interessi particolari (alcuni gruppi armati controllano preziosi traffici di droga e risorse naturali) sia per sfiducia nella reale possibilità che il governo birmano centrale sia intenzionato a rispettate i diritti di tutti. Ai confini tra i vari territori continua quindi la guerra.

Se anche le elezioni si svolgeranno regolarmente, c’è un altro grosso ostacolo alla base della loro capacità di rappresentare l’intera popolazione: molti candidati della minoranza musulmana del Paese non hanno infatti ottenuto il diritto a registrarsi per correre nelle elezioni. Negli anni di cosiddetta «transizione verso la democrazia», molti conflitti sociali si sono acuiti: tra questi quelli tra la maggioranza buddhista e la comunità musulmana. L’associazione di monaci Ma Ba Tha, che ha grande ascendente sulla popolazione, ha assunto un orientamento integralista rispetto alle questioni della convivenza tra religioni, ottenendo dal governo di imporre restrizioni ai matrimoni tra persone di religione diversa.

Oggi e nelle settimane che porteranno alla comunicazione dei risultati ufficiali e nei mesi in cui si determinerà la composizione del governo, l’attenzione sarà polarizzata tra i due principali partiti in corsa: lo Union Solidarity and Development Party (Usdp), attualmente in carica ed emanazione militare, e l’Nld di Aung San Suu Kyi. I principali analisti credono che la maggioranza dei 498 seggi distribuiti tra camera alta e bassa del Hluttaw, il parlamento birmano, verranno conquistati dall’Nld. Ma è imprevedibile la reazione dell’Usdp, così come è ancora un’incognita il candidato alla Presidenza del partito della Lady.

Lei stessa infatti non potrà essere nominata a causa dell’articolo 59 (f) della Costituzione varata nel 2008, una precisa norma «su misura» – confermata – per impedire al suo popolo di eleggerla: la presidenza non è una carica che può assumere chi abbia legami familiari con stranieri e i suoi due figli sono cittadini britannici. La tensione è alta, come dimostrano alcune aggressioni violente a candidati dell’Nld avvenute nelle scorse settimane. «Si tratta di un lungo cammino», come si ripete a ogni occasione a Yangon quando si parla di futuro, e ci vorrà tempo per capire cosa sarà di questo prezioso angolo di mondo stretto tra India e Cina, al crocevia di importanti trasformazioni asiatiche e globali.

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