Museo, prevale lo sguardo radicale di marca anglosassone
Aa. Vv., "Il museo necessario. Mappe per tempi complessi", a cura di Simona Bodo e Anna Chiara Cimoli, Nomos Edizioni Brevi saggi, interviste e testimonianze sulla missione etica del museo, inteso quale organo di edificazione sociale in un’epoca travagliata dalle istanze del pensiero neoliberista
Aa. Vv., "Il museo necessario. Mappe per tempi complessi", a cura di Simona Bodo e Anna Chiara Cimoli, Nomos Edizioni Brevi saggi, interviste e testimonianze sulla missione etica del museo, inteso quale organo di edificazione sociale in un’epoca travagliata dalle istanze del pensiero neoliberista
Le ragioni di esistenza del museo sono fin dalle sue origini materia per accese e mai conclusive dispute. A questo tavolo di discussione permanente contribuisce anche il volume collettaneo Il museo necessario Mappe per tempi complessi, a cura di Simona Bodo e Anna Chiara Cimoli (Nomos Edizioni, pp. 264, € 24,90), che raccoglie brevi saggi, interviste e testimonianze di diversi autori riguardanti in via diretta o indiretta la missione etica del museo, inteso quale organo di edificazione sociale in un’epoca travagliata dalle istanze del pensiero neoliberista. L’assunto comune è infatti che il museo, in quanto presidio di valori democratici, trascenda la propria collezione e il suo involucro architettonico per sostanziarsi nell’insieme di narrazioni, pratiche e relazioni umane che esso stesso genera. La necessità a cui allude il titolo dell’opera sarebbe quindi l’impegno morale dell’istituzione a riaffermare di continuo la propria legittimità assumendo in maniera responsabile, cioè senza avocare a sé un ruolo neutrale in nome della scienza, una chiara posizione politica rispetto alle grandi sfide del mondo contemporaneo.
Nella sua preoccupazione postmoderna di restituire una visione olistica e pluralista di uno scenario complesso in perenne divenire, il volume respinge l’idea di un discorso lineare e si compone come una «mappa», un mosaico «polivocale», per evitare effetti di ordine gerarchico o prescrittivo. Il risultato è volutamente disarticolato, a volte digressivo e persino contraddittorio, poiché la contraddizione è assilimilata a garanzia epistemologica di una comprensione non dogmatica. Così, nel costume dei Cultural studies, vengono proposti casi di studio ed esperienze che vertono principalmente sui temi, molto in voga e spesso correlati, della decolonizzazione e dell’attivismo. Si spazia da considerazioni su come ovviare a curatele inclusive eppure surrettiziamente elitarie o paternalistiche, alle passeggiate nel quartiere milanese di Greco, esempio virtuoso di dialogo tra museo e comunità locali. In generale, i testi fanno ampio riferimento al dibattito anglosassone, nel segno della cosiddetta «museologia radicale», di cui importano prospettive, concetti e lessico, e affrontano questioni con implicazioni ideologiche secondo un approccio pragmatista.
Quanto all’Italia, qualche autore sottolinea il rischio di asservimento del museo alle opache trame dei poteri finanzari e politici. «Non si tratta di evocare una terapeutica esposizione alla bellezza o alla meraviglia (…), quasi le onde d’urto del patrimonio sanassero miracolosamente, per contatto, le nostre fatiche e debolezze: questa è la retorica che viene venduta a poco prezzo da una politica culturale involgarita da decenni di pensiero quantitativo, da una visione della valorizzazione in chiave quasi esclusivamente turistica, dalla continua mortificazione di una scuola in cui i docenti sono sottopagati e poco incentivati alla formazione continua, dal sostegno estemporaneo e inorganico a progetti “dal basso”».
Infine, il libro ha il merito di riportare l’argomento dell’antagonismo in ambito museologico, constatando incidentalmente che, per quanto si siano dimostrati solerti nel contrasto alla discriminazione, finora i musei si sono occupati molto più volentieri di battaglie identitarie che non di lotta di classe.
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