Museo Munch a Oslo, il nuovo totem della politica norvegese
Templi dell'arte L'edificio, tredici piani firmati dallo studio spagnolo Herreros, lascia la periferia e con il suo aspetto da centro commerciale, fra terrazze panoramiche e caffe-ristoranti sul fiordo, soddisfa i nuovi requisiti del consumo culturale ma stravolge le sue premesse
Templi dell'arte L'edificio, tredici piani firmati dallo studio spagnolo Herreros, lascia la periferia e con il suo aspetto da centro commerciale, fra terrazze panoramiche e caffe-ristoranti sul fiordo, soddisfa i nuovi requisiti del consumo culturale ma stravolge le sue premesse
Dopo cinque anni di lavori e una spesa di ventisette miliardi dollari si è aperto a Oslo il nuovo museo Munch, con folla e casa reale norvegese al completo per il taglio del nastro di una brutta costruzione di tredici piani, firmata dallo studio spagnolo Herreros.
Il totem orgoglioso della nuova politica culturale norvegese è il frutto di tante decisioni sbagliate, condivise da governi di destra e sinistra impegnati a sostituire e diversificare la manna economica delle energie fossili che hanno trasformato la Norvegia in uno dei paesi più ricchi del mondo. Il vecchio museo Munch era stato strategicamente posizionato (da una ancora sana socialdemocrazia scandinava) a Tøyen, in un quartiere popolare e periferico della città e, fino a oggi, aveva sempre soddisfatto il mercato interno e le esigenze degli aficionados dell’artista.
UNA SCELTA PRECISA, decisamente pedagogica, che seguiva la volontà di Munch di lasciare alla città di Oslo più di ventisettemila lavori, tra dipinti, grafiche, acquerelli e sculture la cui iconicità mediatica è oggi assicurata dal famosissimo e pluritrafugato Urlo. Nel 1944 il pittore, angosciato dall’occupazione nazista, aveva sperato così di non ritrovarsi – come già successo con la mostra sull’arte degenerata – in balia del giudizio estetico del totalitarismo dominante.
Ora il nuovo museo, dall’aspetto di un centro commerciale con terrazze panoramiche e caffe ristoranti sul fiordo, soddisfa i nuovi requisiti del consumo culturale ma stravolge non poco le premesse. Totalizza il record mondiale di metri quadrati dedicati a un solo artista e spera di diventare una realtà nel circuito delle grandi mostre internazionali. Per la sua apertura, ospita infatti una splendida mostra di Tracey Emin, Loneliness of the soul proveniente dalla Royal Academy di Londra. Quella di Emin per Munch è una vera passione e all’ artista norvegese per anni ha dedicato interessi, ricerche e video, tra cui il commovente Omaggio a Edward Munch e a tutti i miei bambini morti.
Perfetta quindi l’accoppiata inaugurale, che prosegue la linea organizzativa e curatoriale del vecchio museo: i confronti tra Munch e un altro artista che, negli anni, ha visto arrivare a Oslo opere di Robert Mapplethorpe, Marlene Dumas, Jasper Johns. Munch è dal punto di vista del marketing un trailer perfetto per la città, ma i titoli della stampa locale hanno manifestato soprattutto perplessità. «Tra ansia ed estasi», così titolava il settimanale culturale Morgenbladet. La figura supereroica del pittore sembra tuttavia giustificare l’ipertrofia del suo nuovo museo.
TUTTO È PRONTO, dunque, per sostituire sul lungomare di Oslo, le vecchie rotte turistiche, l’Opera House, la nuovissima biblioteca Deichman e, tra qualche mese, l’apertura del nuovissimo Natjonalmuseet. Le crociere e i viaggi organizzati che portavano precedentemente le folle al parco Frogner, presto si fermeranno qui.
Probabilmente è la rivincita di Munch su Gustav Vigeland, suo storico rivale negli anni ’30. L’edificio lamda del nuovo Munch nei freddi inverni norvegesi sostituirà il parco cittadino forbito di sculture monotematiche e machiste, meta di flussi ininterrotti di visitatori. Munch ha guadagnato quella monumentalità che la città non gli aveva mai riconosciuto (se si escludono i fregi per l’Università); persino i lavori per la decorazione del municipio gli erano stati negati dall’amministrazione pubblica. Fino alla sua morte, Munch ha vissuto tranquillo ad Ekely, appena fuori città, continuando a prodigare cure e soluzioni per una pittura intimista per gli artisti del mondo intero, per tutto il ’900 fino a Warhol. Adesso, per ammirare l’Urlo occorrerà entrare nel buio di un simil peep-show dove, a rotazione, sono esposte le tre versioni di proprietà del museo. La ragione di questo insensato display è ufficialmente la fragilità dei supporti su cui è dipinto. Vedremo che farà invece il Museo Nazionale con la sua collezione di splendidi quadri dell’artista: la grandeur odierna produrrà un derby stracittadino per ammirare un’altra versione dell’Urlo e il ciclo di capolavori che lo resero internazionalmente famoso nella Berlino pre- espressionista.
IL MONOLITE inaugurato a Bjørvika sembra dissolvere l’aura malinconica e intimista dell’arte del pittore scandinavo per proiettarlo in una dimensione pop e seriale. Il nuovo Munch museum è partito per entrare nella lunga lista del glamour espositivo del pianeta e l’elenco degli sponsors ha l’aria di essere il suo vero programma.
Con buona pace di Hans Haacke, qui non c’è mistificazione, tanti madornali errori sono sotto gli occhi di tutti. Il nuovo corso culturale norvegese ha preso alla lettera il manifesto futurista e ha ucciso I chiari di luna (e quelli di Munch sono particolarmente belli) inaugurando una pinacoteca che assomiglia alla Dismaland di Banksy un vero parco d’attrazioni.
La speranza è che almeno calamiti a sé e dia visibilità a tutta la scena artistica del paese che, pur assistita dallo stato, non è mai stata particolarmente premiata dal mercato.
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