Internazionale

Murdoch lascia. Resta la post-verità

Murdoch lascia. Resta la post-verità

Stati uniti Il tycoon 92enne creatore di un nuovo modo di fare “giornalismo” cede la guida di Fox al figlio Lachlan, riservandosi il ruolo di «amministratore emerito»

Pubblicato circa un anno faEdizione del 22 settembre 2023
Luca CeladaLOS ANGELES

A 92 anni Rupert Murdoch lascia la guida del suo impero. Le redini passeranno al suo figlio primogenito Lachlan, ponendo, per ora, fine alle speculazioni su una successione che hanno ispirato fiumi di inchiostro nonché la nota fiction televisiva.
Lascia così le redini l’uomo che forse più di ogni altro ha ridefinito un modo di concepire e politicamente militarizzare la produzione di notizie, impiegando le news come strumento di consenso populista ed agenda programmatica. Con radici nel tabloid anglosassone – prima australiano poi britannico ed infine americano – Murdoch ha premuto per sette decenni sulla delimitazione della «verità», introducendo il germe dell’attuale generalizzato sconfinamento fra fatto ed opinione.

SE L’ITALIA berlusconista è stata primo case study che ha politicamente esplicitato il concetto, il ruolo di Murdoch è stato più influente per portata globale e più consequenziale per come ha manovrato una capillare frattura epistemica che ha demolito tradizionali delimitazioni del giornalismo ed incubato uno stile politico oggi egemonico.
La nota che ieri ha dato l’annuncio del passaggio ad «amministratore emerito» delle proprie società, a partire da novembre, ha avuto l’inimitabile stile da condottiero ed infaticabile imprenditore. «Le nostre aziende godono, come me, di ottima salute», ha scritto Murdoch. «Abbiamo ogni ragione per rimanere ottimisti sugli anni a venire».

Australiano di nascita ed educato in Inghilterra, Murdoch entra nel mondo dei media quando, ventunenne, alla morte del padre eredita un piccolo giornale di Adelaide, fondato come organo antisindacale da un gruppo minerario. Di lì a breve lancerà The Australian, primo foglio nazionale in Australia, l’inizio di un impresariato giornalistico che non abbandonerà mai.
L’espansione raggiunge la Gran Bretagna con l’acquisto del Times e dei tabloid News of the World e Sun. Sono proprio questi rotocalchi ad esprimere l’ethos profondamente populista che anima il suo stile editoriale. Non a caso anche la sua espansione negli Stati uniti fa perno su testate popolari come il National Star ed il New York Post (oltre al Chicago Sun Times ed il Wall Street Journal), parte di una strategia sempre mirata ad influire sulle élites conservatrici ed al contempo aggregare una base populista, la formula che ha oggi fatto scuola globale.

ALTRO BREVETTO fondamentale è stato quello di fomentare il risentimento (rancoroso, identitario, emozionale) come legittimo movente post ideologico. Ancora nel suo messaggio di commiato il patriarca multimiliardario incoronatore di potenti nel mondo, ha citato le élite come se non gli appartenessero, ed il loro «esplicito disprezzo per coloro che non appartengono alla loro classe esclusiva». Sintesi degli slogan adottati dal trumpismo e dai suoi cloni.
Nella sua meteorica parabola, all’impero editoriale seguirà l’inevitabile allargamento alla televisione con la fondazione, negli anni ‘80, del network americano Fox, imperniato sull’acquisto dei diritti del football ed il lancio di serie innovative come i Simpsons (ed un reality affidato ad un certo D.J. Trump). In Inghilterra l’impero sarà ancorato da Sky (poi BSkyB) ed in Asia dalla Star Tv di Hong Kong.

GLI ANNI ‘80 vedono anche l’entrata a Hollywood con l’acquisto della storica 20th Century Fox di era Avatar e Titanic e la creazione di quello che sarà il suo capolavoro politico: Fox News. Fondata nell’86, l’emittente via cavo all-news impiegherà appena 6 anni per superare la Cnn, fino ad allora incontestata leader del format, un primato che non cederà più.
Ma Fox News è più che semplice campione di audience, diventa organo ufficioso del Gop con cui è allineata al punto di fornire infine la stessa agenda politica. Lo slogan commerciale, «fair and balanced» suona come scherzo efferato, applicato ad una linea che è invece votata a riconfezionare editoriali progressivamente più stridenti, come «notizie eque ed equilibrate», cancellando definitivamente la demarcazione fra le due e abilitando aggressivamente complottismi e negazionismi.

IL MODELLO riscrive le regole politiche e mediatiche ed è fondamentale a sua volta nel lanciare ed alimentare quello delle nuove destre globali, soprattutto la meteorica ascesa di Donald Trump. Gli ultimi anni sono tuttavia caratterizzati da tensioni col mostro da lui stesso creato, cristallizzate nell’immagine della diretta Fox che, durante lo spoglio nel 2020, annuncia la vittoria di Biden in Arizona, inficiando la narrazione della frode spinta dalla campagna Trump. Uno sfregio rimasto imperdonato da quest’ultimo. Allo stesso tempo l’emittente subisce un cocente smacco legale quando viene condannata al mega risarcimento di 787 milioni di dollari alla Dominion, azienda che produce i terminali di voto elettronico che i mezzibusto Fox, a sostegno di Trump, avevano regolarmente accusato di frode senza prove.

MENTRE IL TERRENO mediatico subisce rapide evoluzioni digitali che spostano l’epicentro dei consensi dal broadcast ai social e dal cinema allo streaming (cinque anni fa gli studios 20th Century sono stati ceduti alla Disney), le news di destra vengono progressivamente atomizzate con l’emergere di concorrenti come Oan, Newsmax e canali social come il Twitter “dirottato” da Elon Musk ed il Truth fondato dallo stesso Trump.
Una nuova partita è tutta da giocare su di un campo più fluido ed imprevedibile che mai, ma per la prima volta in 70 anni, Rupert Murdoch non sarà in campo con la sua regia. In un mondo che accelera senza bussola verso l’ignoto politico, è tuttavia incontestabile il ruolo fondativo di Murdoch nell’avviare il processo. Le forze che ha scatenato sono lungi dal tramontare – siamo destinati a vivere ancora a lungo con le conseguenze del suo operato.

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