Il giornalista afro-americano Mumia Abu Jamal, storico leader delle Black Panthers in carcere negli Stati uniti, è in pericolo di vita. A fine marzo ha perso conoscenza a seguito di un coma diabetico ed è stato trasferito d’urgenza all’Unità di terapia intensiva del Centro medico di Schukylkill. Alla dottoressa Pam Africa, registrata come il suo contatto sanitario personale d’urgenza, non è stato consentito di visitarlo. Solo dopo la pressione di centinaia di chiamate e di proteste che si sono susseguite nel corso di 20 ore, le autorità Usa hanno consentito alla moglie di Mumia, Wadiya, e al fratello Keith Cook, in attesa fuori dall’ospedale, di visitare il prigioniero per mezz’ora.

Il Dipartimento correttivo della Pennsylvania ha tirato fuori una nuova regola arbitraria, in base alla quale anche i famigliari più stretti possono rendergli visita sono una volta alla settimana. E così Bill Cook, il fratello minore e Jamal Hart, suo figlio minore hanno potuto vedere Mumia solo mercoledì 1 aprile. E hanno riferito ai giornalisti le loro preoccupazione per la salute del congiunto il quale, nonostante le gravi condizioni di salute, è rimasto incatenato al letto. Da allora, neanche gli avvocati hanno potuto parlare con il loro assistito e constatarne le condizioni. Nel fine settimana, si sono tenute mobilitazioni sotto l’ospedale e davanti al Dipartimento correttivo. Gli attivisti hanno diffuso il numero di telefono del responsabile della prigione di Mahanoy, John Kerestes (001-570-773-2158), non tanto nella speranza di ottenere risposte, ma per testimoniare la presenza lasciando messaggi registrati.

Ora, Mumia è stato trasferito al centro clinico della prigione di Mahanoy a Franckville (Pennsylvania), la stessa che non gli ha mai diagnosticato il diabete, mettendolo a rischio di vita. Il comitato di sostegno a Mumia Abu Jamal (Icffmaj), ha denunciato che l’omissione potrebbe essere stata volontaria: che le autorità abbiamo taciuto di proposito i dati clinici sulla salute del noto prigioniero politico per comminargli in altro modo quella pena di morte che era stata commutata in ergastolo nel 2008. D’altro canto, anche le cure per il grave shock ipoglicemico di cui ha sofferto, gli sono state somministrate in modo tardivo e insufficiente. La vita di Mumia è in pericolo, dicono allora avvocati e famigliari e invitano a mobilitarsi contro le condizioni di detenzione del giornalista, in carcere da 34 anni.

Anni scontati in regime di isolamento e a seguito di una condanna ingiusta: l’ex leader delle Pantere nere si è infatti sempre dichiarato innocente e numerosi intellettuali, religiosi e politici di tutto il mondo hanno sostenuto le sue richieste di revisione del processo, viziato – secondo I suoi legali – da evidenti contraddizioni e violazioni dei diritti della difesa.

Mumia è stato condannato a morte nel luglio del 1982 con l’accusa di aver ucciso un poliziotto, Daniel Faulkner. Ha sempre negato. Nel giugno del 1999, Arnold Beverly, un sicario, ha anche confessato agli avvocati di Mumia di essere l’autore dell’omicidio del poliziotto e ha parlato di collusioni tra mafia e polizia. La testimonianza non è però stata tenuta in considerazione. Mumia ha continuato il suo calvario di carcere, e ricorsi.

Ha pagato soprattutto il suo impegno politico, iniziato precocemente. Nel 1968, aveva 14 anni quando venne arrestato e picchiato, a Filadelfia, durante le proteste contro un meeting del Partito democratico e del candidato alle presidenziali, George Wallace, ex governatore dell’Alabama e sostenitore della segregazione razziale. In seguito, finì nelle schedature dell’Fbi per aver voluto ribattezzare il suo liceo con il nome di Malcom X e per la sua appartenenza al partito delle Pantere nere. Per l’Fbi era persona «da sorvegliare e rinchiudere in caso di allerta nazionale», bersaglio di un’operazione di controspionaggio denominata Cointelpro. L’allerta nei suoi confronti s’intensificò negli anni seguenti quando, diventato giornalista, continuò ad essere in prima fila nelle denunce contro il razzismo, che gli valsero il licenziamento da una stazione radio in cui lavorava. Costretto a fare il taxista per mantenersi, venne gravemente ferito nel corso di una sparatoria nel quartiere sud di Filadelfia, dove aveva accompagnato un cliente, il 9 dicembre del 1981. In quell’occasione, venne ucciso il poliziotto Faulkner e Mumia fu accusato del suo omicidio, di cui si è sempre dichiarato innocente.

Un’innocenza che ha gridato per trent’anni anche un altro afroamericano, Anthony Hinton, accusato di aver ucciso due uomini durante una rapina, in Inghilterra. Nel 1985, l’uomo è stato estradato negli Usa e messo nel braccio della morte in Alabama. Solo nel 2014 le autorità hanno riaperto il caso e l’hanno ritenuto non colpevole.