Multinazionali, ecco perché serve una tassa minima al 25% e non al 15%
G20 a Venezia Si allarga la protesta contro l'accordo fiscale. L'aliquota minima al 15% è troppo bassa e tardiva, penalizza i paesi poveri e rischia persino di non tenere conto delle grandi aziende. Da Gabriel Zucman, coordinatore dell'Osservatorio fiscale europeo a Oxfam le ragioni per il 25%. In dieci anni l'Italia otterrebbe 110 miliardi in più per rifinanziare il Welfare
G20 a Venezia Si allarga la protesta contro l'accordo fiscale. L'aliquota minima al 15% è troppo bassa e tardiva, penalizza i paesi poveri e rischia persino di non tenere conto delle grandi aziende. Da Gabriel Zucman, coordinatore dell'Osservatorio fiscale europeo a Oxfam le ragioni per il 25%. In dieci anni l'Italia otterrebbe 110 miliardi in più per rifinanziare il Welfare
Trovato l’accordo, c’è già l’inganno. A dispetto dei toni trionfalistici con i quali la tassa minima al 15% sulle multinazionali continua ad essere presentata, l’accordo raggiunto prima al G7 e da 130 paesi sui 139 che hanno aderito al tavolo Ocse sull’erosione della base e la deviazione dei profitti (Beps), oggi in discussione al G20, contiene una serie di gravi problemi. Si può convenire sul fatto che sia un passo nella giusta direzione, ma l’aliquota è troppo bassa e troppo tardiva. Fino agli anni Ottanta del XX secolo il 50% dei guadagni delle sole aziende americane andavano in tasse statali e federali e nel 2018 pagavano meno del 14%, una cifra media leggermente inferiore all’aliquota minima stabilita dai nuovi accordi.
Ciò che non emerge dagli entusiasmi di facciata è una clausola paradossale dell’accordo. Sarà applicata alle aziende con fatturato globale superiore a 20 miliardi di euro e redditività superiore al 10%. La clausola potrebbe escludere società gigantesche come Amazon. C’è anche un altro aspetto da considerare: la Brexit. Il primo ministro inglese Boris Johnson vuole passare all’incasso e sta premendo per ottenere un posto al sole. Vuole cioè che la City di Londra sia esentata dall’accordo assicurandosi un paradiso fiscale oltre la Manica.
Per Gabriela Bucher, direttrice esecutiva di Oxfam International, «con questa riforma fiscale i paesi del G7 e dell’Unione Europea intascheranno più di due terzi del nuovo denaro prodotto dall’aliquota del 15%. I paesi più poveri del mondo recupereranno meno del 3 per cento , nonostante ospitino oltre un terzo della popolazione mondiale. Se sei un infermiere in Messico, un venditore al mercato in Thailandia o una piccola impresa paralizzata dal Covid-19 in Kenya, allora questo accordo fiscale non fa per te. Questo non è un accordo “storico”. È la storia che si ripete. È solo un’altra forma di colonialismo economico».
Sembra dunque che l’intesa festeggiata come un evento storico sia un colabrodo. Per questa ragione negli ultimi mesi si è intensificata una campagna globale, sostenuta da un gruppo di esperti delle Nazioni Unite sulla responsabilità finanziaria, la trasparenza e l’integrità (Facti) che ha chiesto una tassa globale sui profitti dal 20 al 30 per cento. La Commissione Indipendente per la Riforma della Tassazione Internazionale delle Imprese (Icrict) ha richiesto l’applicazione di una tassa minima globale del 25%. Con questa aliquota sarebbero raccolti quasi 17 miliardi di dollari in più per i 38 paesi più poveri del mondo rispetto a quelli che arriveranno dall’aliquota del 15 per cento.
È lo stesso punto di vista dell’economista Gabriel Zucman, coordinatore dell’Osservatorio fiscale istituito dalla Commissione Europea, tra gli autori di un rapporto sul «deficit fiscale», di cui abbiamo parlato su Il Manifesto del 2 e 6 giugno scorsi. Con una tassa minima del 25% l’Unione europea aumenterebbe le sue attuali entrate fiscali di circa 170 miliardi di euro nel 2021, dai 340 miliardi di euro previsti per essere raccolti nel 2021 con la legge attuale a circa 510 miliardi, il 12% della spesa sanitaria totale attuale nell’Unione europea. Nei maggiori paesi dell’UE le entrate fiscali delle imprese potrebbero aumentare dal 30% al 50%: 42% in Germania (un aumento di 29 miliardi di euro all’anno), 51% in Francia (26 miliardi), 44% in Spagna (12,5 miliardi). Negli Stati Uniti una tassa simile porterebbe circa 200 miliardi di dollari di entrate fiscali aggiuntive ogni anno. In dieci anni questo denaro sarebbe più che sufficiente per pagare l’internet ad alta velocità in tutto il paese, l’università gratuita e la scuola materna universale per i bambini di 3 e 4 anni.
Con un’aliquota al 25% l’Italia percepirebbe 11 miliardi di euro in più all’anno. Con 110 miliardi di euro in dieci anni potrebbe rifinanziare l’intero sistema del Welfare.
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