Addentrandosi tra le pagine di Kibogo è salito in cielo (Utopia editore, pp. 176, euro 18, traduzione di Giuseppe G. Allegri) della ruandese Scholastique Mukasonga (in cui si racconta della colonizzazione belga nel Ruanda degli anni Quaranta del secolo scorso, dell’imposizione del culto cristiano su quello pagano e della scrittura su di una cultura trasmessa oralmente per secoli), risulta impossibile non ripensare a Il crollo e all’intera trilogia con cui il nigeriano Chinua Achebe ha lasciato un’impronta indelebile nella narrativa mondiale, segnando la fine di un’era, quella precoloniale, e una pista futura per gli scrittori dell’intero continente africano.

IN SEGUITO all’incursione dei colonizzatori e all’opera di proselitismo dei padri missionari cattolici, che battezzano persino il re e mettono al bando ogni culto indigeno, considerato demoniaco, in Ruanda prendono avvio vere e proprie persecuzioni, come quella indirizzata sulla figura di Akayezu, seminarista spretato con il suo capannello di devote invasate, cui si attribuiscono misteriose guarigioni, incantesimi e dubbi cerimoniali con birra di sorgo e idromele nel bosco proibito sulla collina, equiparato e confuso con il personaggio mitico nazionale di Kibogo, salvatore del paese, figlio del re che riportò sulla Terra la pioggia dopo una lunga siccità, poi assunto in cielo proprio come Gesù.

ASSUMENDO IL RUOLO dell’affabulatrice del villaggio che racconta alla comunità storie magiche e allegoriche durante le veglie attorno al fuoco, Mukasonga le infarcisce di sensazionalismi e verità ambigue, sospese e controverse, portando alla luce una dicotomia apparentemente insanabile tra passato e presente, tradizione e modernità, cultura tribale autoctona, nera, e missione civilizzatrice, bianca – elementi comuni a molta della letteratura postcoloniale – e lo fa in veste di testimone e fedele cantora da un lato, ma anche di osservatrice esterna e disincantata dall’altro, come è proprio di molti autori africani contemporanei dispersi dalla diaspora.

L’AUTRICE, CHE RISIEDE in Francia dal 1992, vanta infatti una visione transcontinentale e numerosi premi al suo attivo, nonché una candidatura al Nobel, ed è già nota grazie a Nostra Signora del Nilo, il suo primo romanzo arrivato anche in Italia nel 2014 (66thand2nd) e ambientato in un liceo femminile ruandese nei primi anni Settanta, dove alle allieve figlie di ministri, uomini d’affari e ricchi commercianti hutu si mescolano due giovani tutsi ammesse in virtù della quota etnica. Una vicenda che allude al serpeggiante odio razziale in quel paese, prefigurando i conflitti etnici che sarebbero sfociati nel genocidio del 1994, nel quale la stessa autrice perse trentasette membri della sua famiglia. Nel catalogo di Utopia sono in corso di pubblicazione le sue altre opere.