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Msf: «Sì, è un crimine di guerra»

Msf: «Sì, è un crimine di guerra»

Afghanistan Dopo la strage Medici senza frontiere lascia Kunduz: «Disgustati dalle parole del governo di Kabul»

Pubblicato circa 9 anni faEdizione del 6 ottobre 2015

Un vero e proprio crimine di guerra. Non un «effetto collaterale». Per Medici senza frontiere (Msf) l’attacco aereo statunitense che nelle prime ore di sabato ha colpito il centro traumatologico di Kunduz, nel nord dell’Afghanistan, provocando 23 vittime civili è una chiara violazione del diritto internazionale.
«Ora un’inchiesta indipendente»

«Con il fondato sospetto che sia stato commesso un crimine di guerra, Msf chiede che sull’evento venga condotta un’inchiesta completa e trasparente da parte di un ente indipendente internazionale». Così ha dichiarato ieri Christopher Stokes, direttore generale dell’organizzazione non governativa.

Per Stokes, «affidarsi soltanto a un’inchiesta condotta da uno degli attori del conflitto sarebbe del tutto insufficiente». Una risposta indiretta al presidente statunitense Barack Obama, che ha assicurato che le autorità militari a stelle e strisce condurranno, nei tempi necessari, un’inchiesta sull’accaduto. E ancora di più al segretario alla Difesa Usa Ashton Carter che ha confermato che è già stata avviata un’inchiesta congiunta della Nato, degli Stati Uniti e della controparte afghana. Carter ha messo le mani avanti: «Lì la situazione è confusa e complicata, potrebbe volerci del tempo per conoscere i fatti, ma li conosceremo e li condivideremo in modo completo e trasparente».

Medici senza frontiere, evidentemente, non si fida. Anche perché sui fatti si discute già. Nei giorni scorsi alcuni esponenti del governo di Kabul avevano dichiarato che all’interno della struttura di Msf si sarebbero nascosti dei Talebani. Una tesi ribadita dal governatore in pectore della provincia di Kunduz, Hamidullah Danishi. «Il campus dell’ospedale era usato al 100% dai Talebani», ha detto Danishi citato ieri dal New York Times. «L’ospedale ha un ampio giardino e i Talebani erano lì. Abbiamo tollerato i loro spari per qualche tempo», ha aggiunto. Una tesi che non regge affatto, secondo Msf. «Siamo disgustati dalle recenti dichiarazioni provenienti da qualche autorità governativa afghana per giustificare l’attacco sul nostro ospedale di Kunduz. Queste dichiarazioni – recita un comunicato – implicano che le forze afghane e americane abbiano deciso insieme di radere al suolo un ospedale completamente funzionante – con più di 180 persone tra membri dello staff e pazienti – perché sostenevano che ci fossero dei Talebani». Per Msf si tratta dell’«ammissione di un crimine di guerra». Senza giustificazioni: «nessun membro del nostro staff ha registrato alcun combattimento dentro il compound dell’ospedale, prima dell’attacco aereo americano».

E sulle ragioni dell’attacco ieri è intervenuto anche il generale Campbell, a capo delle forze Usa in Afghanistan, che in una conferenza stampa al Pentagono – farcita di «no comment» e di «investigheremo» – ha provato a scaricare la responsabilità sugli afghani: «ci hanno chiesto di intervenire le forze di sicurezza afghane, finite sotto il fuoco nemico». Quasi a lavarsene le mani. Sui risultati dell’inchiesta e sulla ricostruzione dei fatti, dunque, ci sarà battaglia.

Ma rimangono i fatti. E le salme delle vittime: 23. Tredici tra medici e dipendenti dell’organizzazione, 10 tra i pazienti, tra cui tre bambini. Trentasette i feriti, anche gravi, di cui 19 fanno parte dello staff di Medici senza frontiere, che nel frattempo ha evacuato il proprio personale e chiuso la struttura sanitaria di Kunduz, devastata dai raid americani.

Intanto emergono altri dettagli sull’attacco aereo. Lajos Zoltan Jecs, infermiere di Medici senza frontiere, è un testimone. Nella notte tra venerdì e sabato scorso si trovava nella cosiddetta “stanza di sicurezza”, esterna rispetto all’edificio che ospita il centro traumatologico. Ha raccontato di essere stato svegliato intorno alle 2 del mattino di sabato da una forte esplosione, di essere stato chiamato da un collega ferito, di aver cercato i sopravvissuti. Qualcuno aveva già raggiunto le camere di sicurezza, altri cominciavano a riemergere dalle macerie, feriti. Quando si è affacciato per guardare all’interno di uno degli edifici in fiamme – ha raccontato – ha trovato una situazione indescrivibile: «Nell’unità di terapia intensiva 6 pazienti stavano bruciando nei loro letti». «Un paziente era sul tavolo operatorio, morto, nel mezzo della distruzione». Poi il controllo degli altri edifici. Il tentativo di salvare i feriti. «Abbiamo effettuato un intervento di chirurgia urgente per uno dei nostri dottori». Non è stato sufficiente. «Sfortunatamente è morto sul tavolo operatorio». «Abbiamo visto i nostri colleghi morire». Per Lajos Zoltan Jecs il bombardamento è «del tutto inaccettabile». Incomprensibile. «Come può essere accaduto?».

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