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Mps, un salvataggio molto costoso

Mps, un salvataggio molto costoso – Aleandro Biagianti

BANCHE Cinque miliardi di prestito (al 4%) di JP Morgan e Mediobanca. Più la cartolarizzazione. «Soccorso senese» con l’intervento da 10 miliardi del fondo Atlante 2. Grazie agli istituti previdenziali

Pubblicato più di 8 anni faEdizione del 30 luglio 2016

Ancor prima delle comunicazioni del cda della banca, arrivate ieri sera alle 21, il puzzle Mps era quasi completato. Con piazza Affari che vedeva salire il titolo addirittura dell’11% al mattino, per poi ripiegare su un comunque robusto +6,3% alla chiusura. Il terzo aumento in tre giorni, a conferma del raggiunto accordo con la Bce sul piano elaborato dall’ad Fabrizio Viola, in stretto contatto con la Banca centrale europea di Francoforte.
Quanto al risultato degli stress test sulle 53 principali banche europee, fra cui il Monte dei Paschi, già nelle scorse settimane era stato anticipato che solo Rocca Salimbeni era stata bocciata, a differenza delle altre quattro grandi banche italiane – Unicredit, Intesa San Paolo, Ubi Banca e Banco Popolare – sottoposte all’esame dell’Eba. Restava solo da capire quale sarebbe stato nel dettaglio il piano di salvataggio, elaborato a Siena insieme a Jp Morgan e Mediobanca, con la cessione di circa 9,5 miliardi di crediti inesigibili netti, e con una ricapitalizzazione da 5 miliardi fatta ora grazie a un prestito ponte, e a fine anno con tutti i crismi. Fatto quest’ultimo che ha portato ad oltre 20 miliardi le ricapitalizzazioni di Mps in dieci anni. Più del doppio della pur costosissima acquisizione di Antonveneta (9,6 miliardi) che, secondo la vulgata, sarebbe la sola ragione del disastro della più antica banca del mondo.
«Siamo l’unico paese europeo che non è voluto entrare, neanche nell’emergenza, nel capitale delle banche in difficoltà – segnalava anni fa Vladimiro Giacchè – non si è mai andati al di là di prestiti».

L’economista di matrice marxista non dimenticava di ricordare un dato di fatto: «Persino l’insospettabile Regno Unito ha creato una banca pubblica per il credito alle pmi». Ma questa via d’uscita alla crisi del Monte, grazie a una temporanea, parziale nazionalizzazione che all’epoca anche la Commissione Ue avrebbe di fatto permesso, era opposta a quella decisa dai vertici di Rocca Salimbeni, da Bankitalia, dai governi Monti Letta Renzi, e dalle autorità monetarie continentali.
Questo sì che è stato il disastro per la banca una volta senese. Talmente indebolita oggi da diventare un acquisto possibile a buon prezzo, vedi la non disprezzabile offerta last minute fatta da Corrado Passera e da Ubs, con il sostegno di fondi internazionali. Un’offerta peraltro rispedita al mittente dalla plancia di comando di Mps, che aveva già trovato l’accordo non solo con la Bce ma anche con il governo Renzi. Che ora sbandiera di aver lasciato che il Monte trovasse una «soluzione di mercato». Quando invece, a sentire il pur ortodosso economista Luigi Zingales, «è un’operazione di mercato che di mercato ha molto poco».

Proprio il botta e risposta fra Zingales e il deputato dem Giampaolo Galli, organizzato da Sky Tg24, ha permesso di capire che il governo è intervenuto eccome. Non con la Cassa depositi e prestiti, che pure pomperà alcune centinaia di milioni in Atlante per gestire la cartolarizzazione delle sofferenze della banca, ma che è – definizione del Sole 24 Ore – una «national promotional banks» che ha delle gemelle sia in Germania che in Francia. «Piuttosto – osserva Zingales – con l’intervento in Atlante delle casse previdenziali, che hanno ottenuto in cambio dal governo dei vantaggi fiscali». Insomma una soluzione all’italiana, di fronte alla quale l’economista avrebbe trovato ben più trasparente l’opzione di un intervento diretto dello stato, con i salvataggio dei piccoli sub-obbligazionisti e il sacrificio di quelli grandi, «che hanno lucrato per anni interessi del 6-8%».
Invece la soluzione «di mercato» costerà al Monte 200 milioni, visto che Siena dovrebbe riconoscere alle banche d’affari impegnate nel salvataggio una commissione di circa il 4% sul totale del prestito ponte, in vista della ricapitalizzazione di fine anno. Quanto ad Atlante, che pure promette ai suoi «azionisti» un rendimento del 6% sulla gestione delle sofferenze acquistate da Mps a un prezzo medio attorno al 32% del valore nominale, assicura che entro pochi giorni raccoglierà i 5 miliardi necessari per l’operazione. Quindi si naviga a vista. Mentre il bilancio semestrale del tanto bistrattato Monte è in utile netto di 302 milioni. Proprio così.

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