E se alla fine il Monte dei Paschi restasse con una robusta seppur minoritaria quota pubblica, tale da passare l’esame della Commissione Ue, e al tempo stesso non essere più preda e “marcare” il peso del governo di centrodestra sul territorio senese, dove già amministra il capoluogo? Ipotesi ardita ma corroborata da Francesco Michelotti, senese (di provincia) e dirigente nazionale di Fdi, e dallo stesso ministro Giorgetti, all’indomani della “procedura accelerata di raccolta ordini” con cui il Mef ha dato il via libera alle banche d’affari per collocare una quota azionaria del 12,5%, riducendo così la presenza del Tesoro nell’istituto di credito al 26,7%.
La mossa del governo, ennesimo tassello della strategia di privatizzare quanto più pubblico possibile, ha sorpreso anche gli analisti finanziari: “Questo ´accelerated bookbuild’ era atteso – mette nero su bianco Intermonte – anche se ci si aspettava venisse fatto dopo il pagamento del dividendo 2023” previsto a maggio. Per certo comunque è stato un successo: le azioni sono state vendute a 4,15 euro l’una, con uno sconto del 2,49% rispetto al prezzo di chiusura di martedì del titolo, e la domanda raccolta è stata pari a tre volte l’ammontare iniziale, viste le condizioni di favore per gli acquirenti.
Ieri a Piazza Affari Mps ha chiuso in calo dell’1,34% a 4,199 euro. Ma il dato più “pesante” è quello di una banca che nei primi tre mesi dell’anno ha visto le sue azioni crescere del 30%, all’interno di un comparto bancario in gran spolvero da almeno due anni. Con extraprofitti miliardari grazie all’aumento del costo del denaro deciso dalla Bce in chiave antinflazionistica, e a politiche creditizie che non hanno certo allargato ai clienti – dalle imprese ai singoli correntisti – la congiuntura favorevole, visti gli aumenti monstre di finanziamenti, fidi e mutui.
Di fronte a un incasso per il Tesoro di 650 milioni, da aggiungere ai 920 riscossi nello scorso novembre – dopo il collocamento del 25% della banca al prezzo ben più basso di 2,92 euro per azione – Michelotti non nega l’evidenza di un governo che fa cassa (“per colmare il buco del superbonus, un’autentica zavorra per i già gravati conti pubblici”), recuperando in questo caso gli 1,6 miliardi spesi nel 2022 nell’ultimo aumento di capitale.
Al tempo stesso il deputato di Fdi, che su un tema del genere non parla certo a titolo personale, aggiunge: “È pur sempre valida l’opzione che lo Stato rimanga ancora nel capitale della banca, che oggi è solida ed ha i numeri per poter essere un player autonomo nel mercato e diventare il terzo polo bancario”. Anche perché sul punto Giorgetti avvisa i naviganti che ”più o meno ci siamo”, quanto al rispetto delle condizioni poste dall’Ue sul controllo pubblico di Mps.
Allarmatissimi dal possibile scenario sono i parlamentari toscani del Pd che in blocco annunciano le barricate, unendo Mps (“una svendita per fare cassa”) all’improvvido taglio del 40% dei finanziamenti al Biotecnopolo senese, quello che dovrebbe ospitare il Centro antipandemico per elaborare vaccini contro la prossima “’malattia X”, e che per questo aveva in dotazione 440 milioni del primo Pnrr draghiano. Ma almeno sul Monte dei Paschi i dem dovrebbero essere gli ultimi a parlare, viste le loro enormi responsabilità politiche e gestionali sia sul tracollo che sulla mancata eppur necessaria nazionalizzazione della banca di Siena ai primi vagiti tempi della “tempesta perfetta” nel 2012-13.