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Movimenti per la casa, tornano gli sgomberi a Roma

Movimenti per la casa, tornano gli sgomberi a RomaGli scontri di ieri sulla via Ostiense – Simona Granati

Diritto all'abitare Tornano gli idranti e i manganelli in città. Scontri sulla via Ostiense tra la polizia e un centinaio di militanti di Action. Gli attivisti difendevano Restart 3.0, l’ultima occupazione dopo gli sgomberi di Tronca. Nella capitale l’emergenza riguarda oltre 50 mila famiglie

Pubblicato quasi 9 anni faEdizione del 5 febbraio 2016

A Roma tornano gli idranti contro i movimenti per il diritto all’abitare. Il cannone ad acqua, montato su una camionetta azzurra che assomigliava a un carro corazzato, ha disperso in poco meno di un minuto un centinaio di manifestanti di Action che ieri difendevano una nuova occupazione abitativa in una via Ostiense militarizzata. La sirena è suonata e la carica è stata lanciata. Stretto e schiacciato su un muro, qualcuno ha cercato di respingere l’urto dei celerini con bottiglie, un estintore.

La resistenza ha ceduto davanti a due possenti getti d’acqua, uno dall’alto di un cannoncino e l’altro ad altezza d’uomo, eruttato da bocchettoni collocati nei parafanghi d’ariete della camionetta. Diversi sono stati i contusi a causa delle manganellate. Tra gli attivisti ci sarebbero anche dei fermati. Si conferma la vecchia legge nominata da un antico, ma non per questo dimenticato sindaco, lo storico dell’arte Giulio Carlo Argan: Roma è una città di gente senza case e di case senza gente.

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 Restart 3.0. Così era stata ribattezzata la nuova occupazione di Action in via Ostiense 333, avvenuta a una settimana dallo sgombero dell’occupazione di villa Lauricella, all’angolo tra via Gattamelata e via Prenestina, che ha ospitato dal 2013 dieci nuclei familiari. Il ritorno alla strategia dello sgombero nella Roma doppiamente commissariata da Francesco Paolo Tronca (al posto del defenestrato ex sindaco Marino) e di Franco Gabrielli in funzione del Giubileo, ha interessato un gruppo di 200 famiglie.

In un comunicato la questura di Roma sostiene di avere condotto «ripetuti tentativi di mediazione» e parla di «dialogo con le istituzioni competenti che avevano dato la propria disponibilità». Una disponibilità che non ha impedito lo sgombero, evidentemente. Come spesso accade in queste situazioni si rischia di confondere la dinamica dell’ordine pubblico con le motivazioni politiche dell’occupazione abitativa.
Action, una dei componenti del movimento romano per il diritto all’abitare, descrive in maniera precisa la complessa problematica. Nella capitale l’emergenza riguarda oltre 50 mila famiglie. Per affrontare questa situazione, i movimenti e i sindacati sono riusciti a ottenere dalla Regione Lazio i primi 200 milioni di euro per l’attuazione di un piano di contenimento dell’emergenza. I fondi, denuncia Action, sono fermi da oltre due anni caratterizzati dalla latitanza del Campidoglio che ha disatteso «scientemente ogni utile azione per attuare il piano, che prevederebbe l’assegnazione di case alle famiglie in emergenza».

A completare il quadro, non certo positivo per l’ex sindaco Marino, «l’incapacità dei nostri amministratori di erogare fondi stanziati dal governo per la morosità incolpevole e per il contributo all’affitto, per oltre 200 famiglie sotto sfratto». Nel frattempo, continua Action, si chiudono le uniche strutture dove dimorano oltre 1.500 famiglie in attesa di casa popolare. Al momento non risulta un interesse in tal senso da parte della gestione commissariale della città.

«Il vero scandalo a Roma non sono i 600 inquilini che ricevendo dal Comune un bollettino di 20 euro di canone versano regolarmente quanto richiesto – sostiene Guido Lanciano dell’Unione Inquilini di Roma e Lazio – ma le decine di appartamenti liberi di proprietà del comune, della provincia, delle ipab, della regione e i migliaia di euro che ancora vengono versati ai proprietari dei residence».

In una situazione di completo stallo, o di rinvio infinito delle soluzioni concrete da adottare per contenere perlomeno un’emergenza visibile, la pratica dell’occupazione viene adottata come atto estremo di denuncia, oltre che per affrontare l’urgenza immediata. Un’altra opzione possibile è quella delle requisizione e dell’uso a fine abitativo degli immobili vuoti e abbandonati, eventualmente da rigenerare. Opzione anch’essa mai citata nelle politiche urbane “ufficiali.

In compenso, il documento triennale di programmazione, stilato da Tronca il 24 dicembre scorso, parla di vendita del patrimonio del Comune per un importo di 15 milioni di euro all’anno per i prossimi tre, e di messa al bando delle altre strutture, tra i quali gli spazi sociali e anche alcune sedi storiche di partito come la sede del Pd in via dei Giubbonari.

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