L’altra rivoluzione. Dal Sessantotto al femminismo di Elisa Bellè (Edizioni Rosenberg & Sellier, pp. 227, euro 16) indaga i rapporti tra la rivoluzione sociale del ’68 e il femminismo della seconda ondata, in un particolare contesto geografico: Trento. Bellè parte dal presupposto che nonostante l’importanza della facoltà di Sociologia che nacque in quegli anni sia nota ai più, non c’è mai stata una vera e propria disamina del movimento studentesco e dei collettivi femministi trentini. L’autrice colma mirabilmente tale lacuna partendo dal presupposto che: «anche lo scientifico è personale» e infatti la ricerca muove da un coinvolgimento familiare nella storia raccontata. La zia e la madre di Elisa Bellè sono state femministe attive a Trento e la studiosa costruisce il suo saggio attorno alle interviste fatte proprio alle donne coinvolte allora nei collettivi locali.

ATTRAVERSO LE PAROLE delle persone interpellate emerge come il primo motore per lo scoppio della rivolta sia stata la famiglia: per le ragazze la frustrazione sorgeva dalla disparità di trattamento ricevuto in casa rispetto ai fratelli, mentre per i ragazzi la lotta è prima di tutto contro l’autorità del padre. La rivoluzione delle donne, però, a differenza di quella iniziata dal movimento studentesco, non si arresta, infatti il saggio indaga in modo particolarmente preciso e lucido la relazione tra il ’68 e il femminismo: «il ’68 si smarrisce e il femminismo continua nel mancato andar oltre del maschile, nel non essere all’altezza del proprio desiderio, che fa invecchiare il puer».

Il puer, spiega Bellè, è l’archetipo migliore per indicare il soggetto sociale che aveva dato vita al movimento studentesco: non ha la capacità di portare avanti quella ribellione, che è in primo luogo un atto fanciullesco e come tale dirompente, ma anche capriccioso.
Il femminismo della seconda ondata che nasce in seno al movimento, invece, devia e procede, sia per una maturità politica che le donne, scrive Bellè, hanno coltivato negli ultimi due secoli, a partire dalla rivoluzione francese, in seguito quella russa e poi nelle lotte per il voto e i diritti civili, sia perché, si potrebbe aggiungere, le battaglie da combattere sono troppo importanti e non c’è capriccio che possa arrestarle.

LE DONNE INIZIANO a riunirsi nelle case: «si comincia a parlare di sessualità dentro ai piccoli gruppi. Si tratta di un vero rivolgimento di concezione della politica e dei confini di ciò che viene definito politico, il cui impatto non è stato ancora sufficientemente tematizzato». Questo passaggio radicale, attraverso la pratica dell’autocoscienza: «che trasforma la marginalità in centralità e per questo può essere annoverata tra le pratiche più profondamente rivoluzionarie» connota il femminismo della seconda ondata, non solo a Trento, ma su tutto il territorio nazionale e a livello internazionale.
Nel testo, però, Bellè intreccia queste vicende con le diverse fasi di occupazione della facoltà di Sociologia e coi conflitti che animarono la sua storia fin dall’inizio, in seno alla democrazia cristiana e alla comunità cattolica della città: a volere fortemente il nuovo corso di studi era stato Kessler, allora presidente della provincia di Trento, di corrente morotea. Leggiamo poi della nascita del collettivo del Cerchio Spezzato e degli altri gruppi femministi locali, attivi, per esempio, nel processo Zorzi che Bellè cita, denunciando l’assurdità della sua rimozione dalla storia. Si tratta di un procedimento penale contro oltre 250 donne, accusate di aborto volontario, e a carico del dottor Zorzi, che praticava l’interruzione di gravidanza nel suo studio privato a Trento.

IL SAGGIO si conclude analizzando la trasformazione del femminismo negli anni ’80 con l’ingresso di alcune nella politica istituzionale e il rifiuto di altre, che si ribellarono alla deriva verso parità e pari opportunità e mostra come ora, col movimento di Non Una Di Meno, il femminismo sia un fenomeno politico rivoluzionario ancora e decisamente vivo.