Visioni

Motta: «Racconto la consapevolezza dei trent’anni»

Motta: «Racconto la consapevolezza dei trent’anni»Motta – foto di Claudia Pajewski

Musica Esce domani «Vivere o morire» il secondo album del cantautore toscano, il primo sotto etichetta Sugar

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 5 aprile 2018

Carattere, attitudine, voglia di raccontare e di raccontarsi. Motta è uno dei talenti più sinceri usciti dalla scena indie capace di catapultarsi – dopo il recente passaggio alla Sugar – in un panorama musicale che corteggia le classifiche ma senza venir meno ai propri principi. Che – nel caso del trentaduenne artista toscano – significa proporre le proprie canzoni esattamente come sono nate, senza abbellimenti radio friendly… Vivere o morire – da domani nei negozi e in digital download – è il suo secondo lavoro solista dopo un passato con i Criminal Jokers e i tour con Zen Circus, Pan Del Diavolo e soprattutto Nada («con lei ho appreso molto, è una personalità importante»).

Il nuovo disco inizia dove finisce il primo: attitudine rock, un po’ di elettronica, nove canzoni come altrettanti pugni nello stomaco, e l’aiuto di un percussionista del calibro di Mauro Refosco. «L’ho registrato – spiega al telefono – in parte nel mio studio casalingo e in parte a New York, nella sala preferita da Keith Richard, insieme all’ingegnere del suono Taketo Gohara». Il pezzo di apertura – Ed è quasi come essere felice – ha un loop elettronico conturbante: «Li uso spesso, anche nel disco precedente trovi delle ripetizioni che diventano un mantra, in questo caso era importante inserire un intro strumentale perché la prima frase recita ’la musica è troppo forte e non si riesce a parlare’. Ma quel minuto solo musicale è parte integrante del racconto».

La fine dei vent’anni rappresentava il disincanto della fine di un’età dove era consentito sbagliare, il passo successivo sono ora le scelte: «Sono cambiate molte cose e anche la mia visione del disincanto è diversa. È un album pieno di speranza, questa consapevolezza me la sono guadagnata con l’accettazione dei miei errori. Non so se chiamarla maturità, ma è un passo avanti». Scrive le parole da solo, lo aiutano Riccardo Sinigallia – il suo mentore nel primo album – e Pacifico: «Sono andato a Parigi a fare una prova ed è stato a tutti gli effetti il mio psicologo. Spesso i testi venivano fuori da una chiacchierata sulla mia vita e sul mio passato. Un processo maieutico, è stato come essere in analisi».

Mi parli di te – che conclude il lavoro, è dedicata al padre: «Il brano più difficile da scrivere, faccio fatica ancora adesso a metabolizzarlo». Motta e l’impegno sociale: «Noi artisti dovremmo esporci di più; l’ho fatto a Livorno per un’iniziativa dopo l’alluvione. Ma sui fatti di Macerata, faccio un esempio, avremmo dovuto scendere in piazza».

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