Mosè, dall’aurora al crepuscolo
Beni culturali Con il restauro di pulitura condotto da Antonio Forcellino, torna anche la luce naturale «ritrovata» da Mario Nanni. Un progetto realizzato dalla Soprintendenza del Colosseo e da Lottomatica
Beni culturali Con il restauro di pulitura condotto da Antonio Forcellino, torna anche la luce naturale «ritrovata» da Mario Nanni. Un progetto realizzato dalla Soprintendenza del Colosseo e da Lottomatica
Look at me recita il titolo del video girato da Enrico Ferrari Ardicini per la Tomba di Giulio II, che racconta la drammaturgia mutevole dell’opera. Ma lo sdegnato Mosè, anarchicamente, posiziona il suo sguardo altrove: ignora lo spettatore per girarsi in una spavalda torsione verso la fonte di luce diretta. Diventa ultraterreno e celestiale, preferendo offrire una possente «presenza» che però vira verso il fuori quadro cinematografico, anche rispetto al luogo stesso che lo ospita, la chiesa di san Pietro in Vincoli.
Mosè (ma soprattutto il suo autore, Michelangelo) cerca il raggio naturale e lo trova in quella finestra che oggi appare chiusa – fu eliminata nella seconda metà dell’Ottocento quando venne costruita la adiacente facoltà di ingegneria.
NON È SOLO UN DETTAGLIO da eruditi: la cancellazione della fonte diretta di luce, quella studiata affinché la statua centrale del monumento (insieme con le altre) seguisse il variare cromatico delle ore del giorno, ha pasticciato la lettura della tomba, soprattutto il lavoro chiaroscurale operato dal Buonarroti sui corpi in marmo attraverso differenti gradi di rifinitura (parti trattate a lustro, con fogli di piombo e ossalati provenienti anche dall’urina dei bambini, e parti levigate con pomice e sabbia abrasiva, che rimanevano opache). Questa scrittura della luce, inoltre, non era più leggibile perché coperta da uno strato di polveri e dallo sporco depositatosi sul monumento dopo quindici anni dal suo profondo restauro – per una corretta manutenzione, bisognerebbe intervenire ogni cinque anni.
Così il Mosè è stato preso in cura per una sua nuova performance, la più radicale (l’altra l’aveva offerta nel magnifico corto, quasi un testamento esistenziale, girato dal regista Michelangelo Antonioni, all’epoca 92enne).
Il restauratore, architetto e scrittore Antonio Forcellino è tornato sui suoi passi (ha diretto il precedente intervento di conservazione e studia da più di vent’anni il Buonarroti) ha rimosso i detriti senza intaccare la patina del tempo, con impacchi di carta, acqua distillata e batuffoli di cotone. E il light designer Mario Nanni, di concerto con Forcellino, con le ricerche e le scoperte del «metodo michelangiolesco», ha realizzato un sistema di illuminazione tenendo fede al progetto originario, nonostante gli stravolgimenti subiti dall’architettura nel corso dei secoli (fra i tanti, anche una modifica alla posizione di Mosé dovuta al Canova che, dopo aver fatto un calco della statua, la riallestì alzandola di trenta centimetri e spostandola in avanti).
La luce assoluta – stessa idea intorno a cui l’artista rinascimentale si mosse durante quei travagliati quattro decenni – viene ricomposta secondo quattro fasi corrispondenti alle variazioni cromatiche, tipiche di una giornata-tipo di aprile a Roma, che vanno dall’aurora al crepuscolo, anzi, comprendendo anche i bagliori della luna. Ventiquattro ore di effetti cangianti. Mentre a far tornare tridimensionale e dinamica l’opera scultorea, che fino ad oggi risultava piuttosto appiattita e poco risolta, ci prova l’apertura del grande arco che dà sul coro dei frati.
D’ALTRONDE, MICHELANGELO scartò santa Maria del Popolo e preferì lavorare nel transetto di san Pietro in Vincoli (chiesa dove Giulio II era stato cardinale prima dell’elezione a pontefice) proprio perché nell’altro luogo «non vi era lume a proposito». Dunque, la sua era una ossessione artistica fondante, una caparbia volontà di rendere visibili le modulazioni del suo rivoluzionario linguaggio.
Sulla Tomba di Giulio II, il sole e il marmo dialogano cercando entrambi, nell’intreccio dei loro destini, tra riflessi e bagliori, la perfezione divina.
La drammaturgia della luce e anche il modello iconografico scelto per la statua della Vita attiva (coincidente con una Maddalena della chiesa di san Silvestro al Quirinale, frequentata da Vittoria Colonna e dall’artista stesso) sarebbe un’ulteriore testimonianza dello stretto legame che Michelangelo ebbe con la nobildonna e, attraverso di lei, con la corrente degli Spirituali.
IL PROGETTO di illuminazione, manutenzione e restauro del monumento (che i turisti di tutto il mondo possono scoprire gratuitamente) è stato realizzato dalla Soprintendenza per il Colosseo e da Il Gioco del Lotto – Lottomatica.
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