Prima del Sundance, prima che i fratelli Weinstein conquistassero gli Oscar, prima che le Majors si mettessero a far finta di fare film off Hollywood e prima che quasi tutto ciò che è targato diventasse un cliché, il cinema indipendente americano ha attraversato una delle sue parabole più anomale e fiammeggianti. A tracciarla, due cugini israeliani, produttori in patria di un West Side Story nostrano (Kazablan , del’74) e del micidiale, ipnotico, Operation Thunderbolt (’76), messa in scena del raid di Entebbe praticamente coprodotta dallo stato di Israele. Sbarcati in Usa nel 1979, armati di passione onnivora, senso dell’avventura e uno speciale talento per il marketing Menahem Golan e Yoran Globus, e la loro Cannon Films, per tutto il decennio a seguire, avrebbero accumulato una filmografia fittissima (43 titoli solo nel 1986) e avventurosa ai limiti del lisergico. I film Ninja e Raul Ruiz, Chuck Norris e Jean-Luc Godard, Coppola e Jean-Claude Van Damme, Stallone e Godard, Cassavetes a Tobe Hooper, la breakdance e l’Otello di Verdi diretto da Zeffirelli.
Il maggior dei due cugini, Menahem Golan, è morto a Jaffa domenica, all’età di 85 anni. Oltre ai circa 200 film che ha firmato da produttore, Golan (nato il 31 maggio del 1929 a Tiberias, ha combattuto nella guerra d’indipendenza d’Israele, studiato cinema Londra e fatto l’assistente di Roger Corman) ne ha diretti e sceneggiati una quarantina, spesso dietro allo pseudonimo Joseph Goldman. Tra i più recenti una produzione di Delitto e Castigo con John Hurt e Venessa Redgrave e The Versace Murder, un instant film sulla morte dello stilista italiano.
Il testo che segue è il frutto di una conversazione tra Golan e Globus avvenuta in occasione di un omaggio dedicato loro nel 2010 dal Lincoln Center di New York. L’avevamo pubblicata su Alias del 27 dicembre di quell’anno.
A metà degli anni ‘80 avete fatto una politica d’autore molto ambiziosa, producendo, tra gli altri, Cassavetes, Godard, Ruiz…
Yoram Globus: Con Cassavetes abbiamo fatto Love Streams, un film bellissimo. A un certo punto John ci ha fatto vedere una versione di due ore e dieci minuti. Gli abbiamo detto che se tagliava venti minuti poteva diventare un film molto commerciale. OK, ha risposto. Otto giorni dopo ci ha detto che era pronto. Siamo tornati a New York e ci siamo trovati di fonte a un film di due ore e quaranta. Perché gli avevamo detto di tagliare!

Menahem Golan. Vi assicuro che così sembra più corto! garantiva John.
YG Negli anni’80 le Major producevano meno film. Così si era aperto un certo spazio per i produttori e i distributori indipendenti…Menahem ed io abbiamo sostanzialmente inventato il concetto di prevendita.
MG. Con dei bei manifesti e delle trame raccontate bene facevamo miracoli in prevendite. A Hollywood abbiamo portato qualcosa di diverso, di rivoluzionario. Per esempio siamo riusciti a trattare con i sindacati dei termini più favorevoli di quelli delle Major. Così è nato quello che ancora oggi si chiama il contratto Cannon. Negli anni ottanta, alla Cannon venivano i registi importanti, che non trovavano posto alle Major. A Cassavetes avevano chiuso la porta in faccia tutti quando è arrivato da noi. L’abbiamo prodotto proprio perché era un filmmaker così strano e speciale.

E Godard?
MG Mi ha chiamato dal bar dell’hotel Carlton, a Cannes. Sono quasi svenuto dall’emozione. Sono sceso per incontrarlo. Aveva tre idee da proporci, tra cui King Lear. Abbiamo firmato il contratto sul tovagliolo dell’albergo. È diventato un oggetto leggendario. Il Museum of Moving Image, qui a New York, ci ha offerto (invano) una cifra considerevole per comprarlo. Ricordo che alla fine di ogni settimana di riprese, Jean Luc prendeva un aereo apposito e veniva a Los Angeles per farsi pagare. Era ossessionato dai soldi. Gli ho dato Norman Mailer per il ruolo di King Lear e sua figlia per quello della figlia del re. Norman mi ha telefonato una settimana dopo dicendo che lo detestava e che mollava tutto Così abbiamo dovuto cambiare cast e rigirare. Godard è un meshuga – un pazzo. Ma un genio. L’avete visto il film? C’è a chi piace. A me no.
YG Credo che tutt’oggi siamo i soli produttori ad avere avuto cinque film in concorso a Cannes lo stesso anno. Ci muovevamo contemporaneamente sul versante del cinema commerciale e su quello d’autore. Con i soldi di American Ninja potevamo permetterci di Cassavetes.
MG Cercavamo idee fresche, cose nuove. Un giorno mia figlia mi ha portato sulla spiaggia di Venice a vedere dei ragazzini neri che ballavano un ballo mai visto. Si chiamava breakdance. Breakin’ è stato uno dei nostri maggiori successi, costato anche lui un milione e due. Quando l’abbiamo fatto vedere alla MGM, con cui avevamo un accordo distributivo, hanno reagito dicendoci: è un film schvartze, (peggiorativo per «da neri»; ndr). Avevano paura.

Come lavoravate insieme?

YG. Siamo cugini primi. Per capirci, non avevamo nemmeno bisogno di parlare. Nessuno racconta una storia meglio di Menahem. Quando dovevamo prevendere un film ai giapponesi, chiamavo lui ed era tutto risolto. In Yiddish!
MG. Quando Yoram era ragazzo non voleva studiare. Passava tutto il tempo nella cabina di proiezione del cinema di suo padre, vicino a Haifa. Suo padre era preoccupato e mi ha chiesto consiglio.
YG. Ero sempre in cabina perché facevo il proiezionista!
MG Quando, alla fine, siamo entrati in società è stato subito chiaro che Yoram era il miglior venditore del mondo. La nostra era una grande alchimia.

Tra le «vostre» star ci sono Charles Bronson, Chuck Norris, Jean Claude Van Damme e Sylvester Stallone

MG. Avevamo deciso di copiare quello che la Major facevano ai tempi d’oro. Con Chuck Norris, per esempio, abbiamo firmato un accordo di sette anni.
YG.La carriera di Bronson l’abbiamo rilanciata noi. Era un attore molto professionale, ma detestava qualsiasi promozione, autografi, interviste… Era un uomo distante, un ghiacciolo
MG. Un volto perfetto per lo schermo. Nella realtà un cubetto di ghiaccio. Van Damme l’abbiamo scoperto noi. Ero a un ristorante francese di Los Angeles con mia moglie. Ad un certo punto si presenta al tavolo un giovane cameriere belga, con in mano due piatti di minestra: Monsieur Golan? E alza una gamba all’altezza dell’orecchio – senza versare una sola goccia di minestra. Gli ho detto di presentarsi al mio ufficio il giorno seguente. Stallone, invece, era la star più pagata del momento quando lo abbiamo convinto a fare Cobra. Prendeva sei milioni a film dalle Major. Gliene abbiamo offerti dieci. Girava con sedici guardie del corpo e sette cani. Ma la persona che lo terrorizzava più di tutti era sua moglie, Brigitte Nielsen.
YG. Se vuoi lavorare con quel calibro di attori e sei un indipendente devi strapagarli. Ma non importa. Perché abbiamo guadagnato moltissimo lo stesso.