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Moriranno democristiani, Spd soddisfatta

Moriranno democristiani, Spd soddisfatta/var/www/vhosts/ilmanifesto.co/ems/data/wordpress/wp content/uploads/2013/12/14/pol2f01 GERMANia spd COALITION VOTE 21 – Reuters

Germania Il 76% della base socialdemocratica dice sì alla grande coalizione con Angela Merkel

Pubblicato quasi 11 anni faEdizione del 15 dicembre 2013

I sorrisi larghi dell’intero stato maggiore del partito socialdemocratico (Spd) dicevano già tutto: la suspense era ormai svanita quando, verso le ore 15 di ieri, in un avveniristico spazio congressuale di Berlino, la responsabile del conteggio dei voti, Barbara Hendricks, prendeva la parola per annunciare il risultato del referendum sulla grosse Koalition. A tutti era ormai chiaro che i militanti socialdemocratici avevano dato il via libera alla nascita della terza «grande coalizione» della storia della Repubblica federale tedesca.
Un risultato largamente atteso, dal momento che tutto il gruppo dirigente era sostenitore del «sì» all’accordo: gli unici ad avere dato esplicitamente un’indicazione contraria erano stati gli Jusos, i giovani del partito, insieme a qualche esponente della corrente di sinistra Forum Demokratische Linke. Se fosse prevalso il «no», sarebbe stato un terremoto politico di enormi dimensioni per la Spd, con l’innesco di una crisi ai vertici praticamente senza precedenti. È probabile, quindi, che almeno una parte della base che ha seguito le indicazioni della direzione lo abbia fatto soprattutto per «senso di responsabilità».

La partecipazione al voto è stata del 78%, pari a 370mila iscritti: una quota alta, che dimostra come i militanti socialdemocratici abbiano preso sul serio una consultazione dall’esito vincolante. Il «sì» al patto di governo con la Cdu di Angela Merkel e con i democristiani bavaresi della Csu ha raggiunto il 76%. È un risultato che non lascia spazio a dubbi, ma che, allo stesso tempo, mostra l’esistenza di una significativa opposizione alla linea «filo-governativa» dei dirigenti della Spd: il 24% di schede con la croce sul «no» rappresenta un’area di dissenso che non potrà essere facilmente sottovalutata.

Non è un caso che l’abile segretario socialdemocratico, il 54enne Sigmar Gabriel, nel suo discorso a commento dei risultati abbia voluto rivolgersi ai critici interni: «anche voi siete validi e preziosi militanti del partito come quelli che hanno votato a favore della coalizione. Toccherà a noi convincervi, nei prossimi anni, che la scelta giusta era la nostra». Quello di ieri era un Gabriel raggiante, consapevole di essere uscito molto rafforzato dal risultato della consultazione: ha dimostrato coraggio nell’affrontare «senza rete» l’opinione della base e ha portato a casa quello che voleva. Con la retorica delle grandi occasioni, il leader della Spd ha avuto buon gioco nel sottolineare l’importanza dell’inedito esperimento di democrazia interna ad un partito: «con 150 anni di storia siamo la forza politica più antica del Paese, ma abbiamo dimostrato di essere anche quella più viva».

Ovvia soddisfazione da parte dei democristiani, ora ufficialmente alleati di governo della Spd. La composizione dell’esecutivo, che continuerà naturalmente ad essere guidato dalla cancelliera Merkel, è sostanzialmente già decisa: ieri ancora nessuna nomina ufficiale, ma circolano già i nomi dei futuri ministri. Salvo improbabili sorprese, Gabriel sarà vice-cancelliere e ministro dell’industria e dell’energia, e guiderà una delegazione socialdemocratica che dovrebbe includere Frank-Walter Steinmeier agli esteri, l’attuale responsabile organizzazione del partito, la 43enne Andrea Nahles, al ministero del lavoro, e i titolari dei dicasteri della giustizia, dell’ambiente e della famiglia.

Tre saranno i posti occupati dai bavaresi della Csu (probabilmente: agricoltura, infrastrutture e cooperazione internazionale) e cinque – oltre alla cancelliera – quelli della Cdu: per la prima volta dovrebbe toccare ad una donna, la ministra del lavoro uscente Ursula von der Leyen, la guida della difesa. A custodire le finanze resterà con ogni probabilità il veterano Wolfgang Schäuble: segnale evidente che non c’è da attendersi nulla di nuovo nella conduzione degli affari europei. Il contenuto dell’accordo di governo, in realtà, già parlava chiaro: nessun cambiamento nella gestione della crisi della zona euro, avanti con le «riforme strutturali» per fa crescere la «competitività» delle economie dell’Europa meridionale. Nessuna visione critica degli squilibri interni alla Ue, e quindi totale chiusura su ogni forma di messa in comune dei debiti pubblici e nessun impegno concreto su investimenti massicci per combattere la disoccupazione, come invece chiede – fra gli altri – la Confederazione europea dei sindacati.

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