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Monument Project, un dialogo con la storia Usa

Monument Project, un dialogo con la storia Usa

Ai confini della realtà La Andrew W. Mellon Foundation ha deciso di stanziare 250 milioni di dollari ai fini di reimmaginare il rapporto del Paese con i propri monumenti

Pubblicato circa 4 anni faEdizione del 10 ottobre 2020

Nemmeno una Casa bianca «occupata» dal Covid, la cancellazione di un dibattuto presidenziale, il rioting con maschere bruciate nel cuore della comunità ebreo/ortodossa di Brooklyn, lo stallo del pacchetto di aiuti economici al Congresso e l’imminente battaglia per la Corte suprema riescono a metter in pausa le guerre della cultura. Tra i dibattiti più accesi è quello sulla memoria storica, incarnato dalle statue e dai monumenti confederati, al centro di uno sforzo per lo smantellamento che era cominciato qualche anno fa, ha preso fuoco con la manifestazione di suprematisti bianchi a Charlottesville, e che si è intensificato dopo gli omicidi di Breonna Taylor e George Floyd.

Stato natale di Abraham Lincoln, ma anche del presidente confederato Jefferson Davis, il Kentucky (storicamente parte dell’Unione e non della Confederazione sudista) è in questo momento teatro di un braccio di ferro relativo a una statua dedicata a Davis nel 1924 e ospitata dal Campidoglio della capitale Louisville.

Dopo le manifestazioni che hanno seguito la morte di Taylor, il governo locale ha deciso di rimuovere la statua dalla sua sede e riposizionarla a Fairview, città natale di Davis dove esiste già un grosso obelisco dedicato, al centro di un parco un tempo considerato il punto di partenza ideale per un tour della Storia sudista. Il problema è che gli abitanti di Fairview non la vogliono. Come il Kentucky, altri stati (tra cui Texas e Florida) stanno faticando a trovare luoghi dove ricollocare e analoghe statue «incriminate». Trump, si sa, ha anticipato più volte pubblicamente la creazione di un «meraviglioso parco» apposito per accogliere i monumenti di cui sopra.

Più interessante di distruggere, bruciare, nascondere le statue, o di rinchiuderle in un giardino di pietra della segregazione, ci era sembrata l’idea di creare dell’arte che dialoghi attivamente con il passato più dolorosamente problematico della storia Usa. È stato il caso di Rumors of War, statua equestre dell’artista afroamericano Kehinde Wiley, che oggi – dal parco del Museum of Fine Arts di Richmond, Virginia – si pone come «risposta» alla parata di generali confederati allineati lungo l’adiacente Monument Avenue.

Sempre a Richmond, il luglio scorso, la statua del generale Robert Lee era letteralmente diventata uno schermo su cui proiettare la fotografia di Breonna Taylor. Come arte dialettica erano le grosse scritte in giallo dipinte sulle strade di New York (una autorizzata dal Municipio proprio di fronte alla Trump Tower) nel clou delle manifestazioni per George Floyd – Black Lives Matter.

In quest’ottica di pensiero pare di buono auspicio l’annuncio, qualche giorno fa, che la Andrew W. Mellon Foundation, la maggiore fondazione filantropica per le arti degli States, ha deciso di stanziare 250 milioni di dollari ai fini di reimmaginare il rapporto del Paese con i propri monumenti. Il Monument Project è la maggiore iniziativa nella storia della Fondazione e prevede la creazione di nuovi monumenti e lo spostamento di altri, in un’accezione della definizione di monumento che, dalle statue ai memoriali, si estende a «luoghi di racconto», come musei e installazioni artistiche.

Negli ultimi due anni, la Mellon Foundation ha già investito cinque milioni di dollari nella creazione di un National Memorial for Peace and Justice in onore delle vittime di linciaggio, a Montgomery, in Alabama, e in un monumento, per il newyorkese Central Park, in onore di una famiglia di abolizionisti che risiedevano nella comunità afroamericana di Seneca Village rasa al suolo per fare posto al parco.

giuliadagnolovalan@gmail.com

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