Visioni

«Monte verità», spirituale utopia del perduto Novecento

«Monte verità», spirituale utopia del perduto NovecentoUna scena da «Monte verità»

Al cinema Diretto da Stefan Jäger e presentato due anni fa al Festival di Locarno, un racconto che inserisce un personaggio immaginario all'interno di una collettività storica

Pubblicato più di un anno faEdizione del 29 giugno 2023

«Mie figlie adorate, porto sempre con me la nostra fotografia. La custodisco come il ricordo che ho di voi. Nei vostri occhi scorgo tanta nostalgia. Quanto tempo è passato! Eppure ricordo le vostre voci e i vostri sorrisi come se fosse ieri. Ormai siete adulte. È il momento di raccontarvi la mia verità». A scrivere queste parole, che richiamano a un tempo andato, è Hanna Leitner, austriaca, di famiglia borghese, madre di due figlie, soffocata dalle convenzioni e dagli obblighi che un certo tipo di vita le aveva presto imposto in modo incondizionato.
Una notte, Hanna decide di lasciarsi tutto alle spalle, di consegnare al passato la sua prima esistenza lunga quasi trent’anni, e di immergersi in qualcosa di nuovo, di inedito. Sceglie di rinascere, se non fisicamente, almeno spiritualmente. E, dunque, fugge in treno. La meta è una specie di rifugio ad Ascona in Svizzera, presso il monte Monescia, noto come Monte Verità. Un luogo dove l’individuo, separatosi dalle camice di forza della società, torna a una dimensione più autentica, riappropriandosi del corpo, dei desideri, delle ambizioni, delle relazioni. Dove l’arte e la scienza non sono futili orpelli di una classe sociale che mette in mostra se stessa, ma pratiche della vita quotidiana.

«MONTE VERITÀ» è anche il titolo del film di Stefan Jäger, presentato due anni fa al Festival di Locarno. Un racconto che inserisce un personaggio immaginario all’interno di una collettività che ha sperimentato un’utopia. Accanto alla dubbiosa e impaurita Hanna, troviamo, quindi, lo psichiatra Otto Gross, la pianista Ida Hofmann, lo scrittore Herman Hesse, cioè alcune delle figure del primo Novecento che parteciparono alla costruzione di un mondo radicalmente diverso da quello che di lì a poco si sarebbe autodistrutto per mezzo di due catastrofiche guerre.
Il contesto storico nel film resta fuori campo. Jäger e la sceneggiatrice Kornelija Naraks hanno privilegiato l’emancipazione e la presa di coscienza di una donna che, tra incertezze e timori, trova la sua strada e si lascia attraversare dal proprio demone. E così, per paradosso, proprio al personaggio immaginario, che ha la vocazione per la fotografia (il mestiere del coercitivo marito), spetta il compito di documentare la reale presenza di chi per un breve attimo ha solcato questa Terra cercando vanamente di renderla un posto migliore.

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