Montanelli, Gauguin, Althusser
In una parola La rubrica settimanale a cura di Alberto Leiss
In una parola La rubrica settimanale a cura di Alberto Leiss
Non una parola, ma tre. In realtà cognomi di tre persone diverse per biografia, contesto storico, vocazioni, scelte di vita, e nel peso che hanno avuto nella storia dell’arte, della filosofia politica, del giornalismo.
Accomunati, semmai, dall’essere tre uomini, tre maschi.
Di Montanelli si è molto parlato per la contestazione alla sua statua in un parco milanese – riflesso del moto americano antirazzista dopo l’assassinio di George Floyd a Minneapolis. Causa della contestazione è il «matrimonio» del giovane giornalista, soldato dell’esercito italiano colonialista in Africa, con una bambina di 12 o 14 anni, insieme al suo razzismo e filofascismo dell’epoca.
Di Gauguin ha scritto Perluigi Battista sul Corriere della sera di domenica 21 giugno, a proposito di una mostra aperta l’anno scorso alla National Gallery di Londra, i cui curatori hanno sentito il bisogno di «autocorreggersi» e autogiustificarsi proponendo il quesito : «È ora di smettere di guardare Gauguin?». Una motivazione per non mettere più in mostra i suoi quadri – ripresa da un articolo del New York Times – sarebbe il fatto che il pittore parigino ebbe «relazioni con quattordicenni» della Polinesia.
Di Althusser ricordo che lui stesso scrisse a un certo punto, rievocando quel momento e rileggendo tutta la propria vita, di «essersi accorto» di avere strangolato la moglie. Un caso estremo, il suo, perché l’omicidio – oggi diremmo femminicidio – è certo più grave del pur abominevole stupro di una minorenne. In quel dicembre del 1980 questa tragedia fece molta impressione e potè essere «elaborata» perché il gesto fu attribuito a patologie psichiche che fecero considerare Althusser «irresponsabile», con limitazioni alla sua personalità giuridica e la possibilità di pubblicare.
I «contesti» di questi fatti sono molto distanti: Montanelli ventenne non trovava nulla di male nel colonialismo fascista, e nei rapporti sessuali con dodicenni africane, mentre Gauguin amava – a modo suo – la cultura «primitiva» Maori e litigava con l’amministrazione francese. Althusser rileggeva Marx per una rivoluzione migliore di quella fatta in Russia.
Che fare della memoria e delle opere di uomini che hanno avuto comportamenti sessuali oggi inaccettabili?
Una «via d’uscita» è rimarcare la differenza tra la vita di un’opera – saggi marxisti, quadri post-espressionisti, articoli, libri e testate giornalistiche – e quella dei loro autori.
Un’opera ha una vita autonoma, tanto più se l’autore non vive più. Non dovrebbero ricadere su di lei, in forma di censura, le eventuali colpe di chi l’ha concepita.
Tuttavia – come dimostrano biblioteche di interpretazioni critiche – non è possibile sganciare completamente il significato di un’opera dalla biografia non solo intellettuale di chi l’ha prodotta.
Ma oltre a esaminare criticamente il «contesto» in cui nasce un’opera, dovrebbe esserci molto ben presente il «contesto» in cui oggi se ne discute. Per prima cosa non rimuovendo che è un certo modo di vivere la sessualità maschile a essere rifiutato, da un numero sempre più vasto di donne.
La parola di un maschio non è la stessa di quella di una donna.
Una femminista può criticare gli esiti censori del me-too. Se lo faccio io, senza altro aggiungere, autorizzo un sospetto.
Posso dire – come dico – che sono contrario a proibire i quadri di Gauguin o mandare al macero i saggi di Althusser, e anche a rimuovere la statua di Montanelli. Ma i comportamenti che vengono contestati, anche quelli non vanno rimossi – come troppo facilmente è accaduto in questi giorni con l’argomento «erano altri tempi», il «contesto» era diverso…
Il tempo che fa problema è adesso, e dobbiamo trovare le parole per dirne senza scorciatoie.
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