Non è possibile essere esperti di videogiochi senza conoscere ed aver giocato almeno ai primi due titoli della saga di Monkey Island: The Secret of Monkey Island del 1990 e Monkey Island 2: LeChuck’s Revenge dell’anno seguente. Potrebbe sembrare un giudizio da vecchio videogiocatore che reputa capolavori solo i giochi della propria gioventù. Ed è anche questo, ma la saga creata da Ron Gilbert non ha esclusivamente meriti nostalgici. Per inquadrarla basta scrivere: «avventure grafiche» e «LucasArts».

All’epoca in cui la saga di Monkey Island iniziò, il genere delle avventure grafiche era uno dei più importanti e quelle targate LucasArts potevano vantare la capacità di proporre qualcosa altrimenti quasi del tutto assente nelle opere videoludiche: l’ironia e ancor di più la comicità. Incontrare il venditore Stan col suo compulsivo gesticolare mentre parla (ad esempio) o dover scegliere gli insulti più appropriati per poter vincere i duelli non ha mancato di sbellicare davanti ai propri PC una generazione di videogiocatori. Che sapevano di non correre il rischio di morire per una scelta sbagliata, in quanto la filosofia di game design di Gilbert era ed è esattamente quella di togliere dal gioco il «game over» per spingere i giocatori alla ricerca delle soluzioni più assurde (spesso quelle corrette).

Oltre vent’anni dopo, Ron Gilbert torna alla saga che gli ha dato fama videoludica per realizzare un nuovo episodio, Return to Monkey Island (sviluppato dalla sua Terrible Toybox e pubblicato da Devolver Digital per Windows e macOs su Steam e per Nintendo Switch). Mesi fa, all’uscita dei primi screenshot, la «fanbase» si era rivoltata per le variazioni grafiche e le presunte infedeltà della trama. Ma poi, all’uscita del gioco, praticamente non c’è chi non ne sia rimasto deliziato.

Già nel 2017 Gilbert aveva proposto Thimbleweed Park, un’avventura grafica bidimensionale che utilizzava il «vecchio» sistema SCUMM di interazione (sostanzialmente una griglia di verbi per attivare le azioni), dimostrando come il mezzo era ancora adeguato per immergere i giocatori in una storia appassionante. Return to Monkey Island è una storia più breve e meno impegnativa a livello di enigmi che si rivolge principalmente ai giocatori che tornano alla saga, cresciuti (invecchiati?) come il suo creatore che proprio a loro dedica, in conclusione, una lettera che è anche una sorta di confessione: Guybrush è più anziano, proprio come noi… Il gioco è una buffa avventura piratesca, come sempre, ma è anche una storia sul provare a recuperare il passato, con tutta la sua presunta forza e gloria giovanile… Guybrush otterrà più o meno ciò che vuole, ma non sarà quello che si aspettava. Prevedo che per noi sarà lo stesso.

Parole ovviamente rivolte ai Guybrush Treepwood sparsi per il mondo che si vedevano pirati di una rivoluzione digitale e si ritrovano (se va bene) figli da crescere e bollette da pagare, ma che riescono nonostante tutto a coltivare vecchie passioni. Magari condividendole con la prole, se si riesce a staccarla da Fortnite & Co. (anche se il marchio Disney sulla proprietà intellettuale già LucasArts resta comunque una triste visione).