Nel 1955 una giovane di nome Maria Spina Raimondo partì dalla provincia di Avellino alla volta di New York. Settant’anni dopo sua nipote Summer Minerva, artista queer di Staten Island, torna nella terra natia della nonna per rintracciare le sue origini e connettersi con la sua identità più profonda. Questo viaggio la porterà ad affondare anima e corpo nell’antichissima cultura partenopea dei femminielli, delle feste popolari legate al culto delle sette Madonne campane, derivato dal culto pagano delle dee madri, in particolare Mamma Schiavona, la Madonna nera di Montevergine da sempre venerata dal popolo del «terzo genere». Summer Within, documentario autobiografico, pluripremiato al festival Laceno d’Oro, è un lavoro prezioso, a tratti commovente. Uno scavo dentro documenti e storie dolorose di famiglia legate alla migrazione oltreoceano che s’intrecciano con leggende fondative, pratiche desuete ma ancora rintracciabili della cultura ancestrale pagana campana di cui i femminielli sono parte fondante. Un racconto immaginifico ma profondamente radicato nel reale che si nutre di immagini di archivio e interviste a personaggi del popolo della Candelora: Ciretta Cascina, Loredana Rossi, il maestro Marcello Colasurdo, la cui recente scomparsa ha lasciato un vuoto incolmabile. A lui è dedicata la rassegna multidisciplinare Aspettando la luce organizzata per la Candelora dal Comune di Mercogliano fino al 3 febbraio, in programma anche la proiezione di Summer Within. Ne abbiamo parlato con l’autrice, tornata in Italia per prender parte alla tradizionale «juta» del 2 febbraio.

Summer, come nasce il documentario?

Sono un’artista di New York, dopo aver studiato per molti anni danze africane e dei luoghi del mondo che non sono parte del mio linguaggio, ho deciso di fare una ricerca sulle danze e la musica popolare del sud Italia. Mia nonna Maria Spina era nata a Cesinale, in provincia di Avellino. Sono stata a Montevergine nel 2016, fu la prima volta che sentii la parola femminiello. Così è cominciato questo lungo progetto. Da artista e scrittrice, sapevo che volevo documentare questo viaggio, c’era qualcosa che mancava nella mia vita e l’avrei trovato qui. Ci ho messo un anno a decidere di voler fare un documentario autobiografico, sono tornata a Napoli tre anni di seguito per girare.

Il tuo punto di vista sulla cultura queer partenopea è molto personale: è profondamente interno, di persona coinvolta in un processo di acquisizione di identità, ma anche straniero, di chi vede alcune cose per la prima volta.

Durante questa ricerca ho appreso delle informazioni: volevo che lo spettatore le percepisse attraverso me, non con un taglio accademico, ma da un essere umano a un altro. C’è la storia dei femminielli, la relazione con mia nonna che all’epoca in cui giravo era malata. Le parlo attraverso delle lettere che scrivo dall’Italia. In America non esistono i femminielli, non c’è una parola per questo stato dell’essere, «non binary» è una definizione sterile, da laboratorio. Femminiello è un concetto in cui mi sono identificata, soprattutto nella sua rappresentazione che fa riferimento a una cultura antica. Ho fatto molte interviste, la cosa più importante che emerge è la relazione tra i femminielli e il loro luogo natio: Napoli e la Campania. Tutto ciò che è magico, mistico, favoloso, e non c’entra nulla col «gender».

La festa della Candelora è la parte più importante nel documentario.

La Candelora di Montevergine rappresenta il momento in cui il popolo queer e musica popolare si uniscono. Significa avere accesso a qualcosa di molto antico e profondamente ancestrale che appartiene ai nostri corpi da secoli e che i nostri antenati hanno sempre fatto. Questa devozione, attraverso la musica e le danze popolari, è ancora viva in noi. Negli Stati uniti queste linee di sangue si sono rotte per via dell’immigrazione, della globalizzazione. Se vado a vivere in un altro paese, mio figlio non avrà alcuna relazione con la sua terra d’origine. Lo trovo molto triste. Anche per questo da un po’ di tempo organizzo corsi sulla cultura e musica popolare per le persone italo americane queer che sono interessate a riconnettersi con le loro origini. Il mio messaggio è che abbiamo l’opportunità di dare nuova vita a queste tradizioni, tutti possono danzare, puoi andare alla Candelora ed esprimerti liberamente, come vuoi.