Mohammed Bakri, «Una sentenza contro la democrazia»
Intervista Il regista e attore commenta la messa al bando del suo film «Jenin, Jenin» e la condanna per diffamazione decisa da una corte israeliana
Intervista Il regista e attore commenta la messa al bando del suo film «Jenin, Jenin» e la condanna per diffamazione decisa da una corte israeliana
Martedì scorso la corte distrettuale di Lod, in Israele, ha condannato Mohammed Bakri per diffamazione per il suo documentario del 2002 Jenin, Jenin – sull’attacco dell’esercito israeliano al campo profughi palestinese – che è stato così bandito da Israele: la corte ne ha vietato la proiezione e ha ordinato il sequestro di tutte le copie. Abbiamo raggiunto l’attore e regista al telefono per commentare l’accaduto.
Cosa pensa della sentenza?
Trovo che sia antidemocratica, antiumana, dimostra che andiamo sempre più verso il fascismo e l’apartheid. Io credo che il film sia invece profondamene umano: racconta la storia di persone che sono state attaccate in maniera brutale dall’esercito israeliano. Come sempre sono gli innocenti a pagarne il prezzo. E nel film parlano di ciò che hanno provato durante l’invasione del 2002. Sono stato perseguitato dalla politica israeliana sin da allora: da quasi vent’anni sono obbligato a passare il mio tempo di processo in processo, di problema in problema – invece di poterlo impiegare per fare dei film, dell’arte, lo passo in compagnia degli avvocati. Hanno provato a distruggermi economicamente (Bakri è stato anche condannato al risarcire il tenente colonnello Nissim Magnagi con 175mila shekel, ndr) e politicamente, mi hanno creato una nomea terribile, una vera e propria demonizzazione, e sopravvivere è diventato molto difficile. Non è giusto.
La giudice la ha accusata di «non aver deliberatamente condotto alcun controllo, anche minimo o preliminare, delle accuse e dei fatti contenuti nelle interviste». L’implicazione è inquietante: si nega implicitamente ciò che le persone intervistate in «Jenin, Jenin» raccontano di aver sofferto.
In questo modo negano l’altrui sofferenza, non accettano le storie diverse dalla loro, credono di avere il monopolio della verità e della sofferenza. Ma non esiste il monopolio sulla verità, né sul dolore: tutte le parti coinvolte stanno soffrendo. Il sangue ha sempre il medesimo colore: non ho mai viso un sangue verde o blu, è tutto rosso, e siamo tutti esseri umani. Abbiamo madri, nonni, vicini di casa. Anche noi abbiamo famiglie, relazioni, storie, la nostra lingua, cultura, musica, cibo, tradizioni. E negando le storie altrui si cancella tutto questo.
La causa per diffamazione le è stata intentata dal colonnello Nassim Magnagi che nel film è a malapena visibile. La sentenza è quindi puramente un pretesto per metterla a tacere?
Si, per mettere a tacere me e non solo: è un monito rivolto a chiunque osi affrontare il problema dei palestinesi, il loro diritto negato alla libertà e alla dignità.
Come può uno stato che si definisce democratico decidere di bandire un’opera d’arte?
Infatti quello che penso è che non sia realmente democratico, altrimenti non metterebbe al bando un film, e io non dovrei affrontare tutte queste persecuzioni.
Recentemente l’associazione per i diritti umani B’tselem ha definito Israele un «regime di apartheid». Cosa ne pensa?
È così nei territori occupati, in Cisgiordania, è in quello che stanno facendo i coloni contro le persone, bruciando gli alberi d’olivo, o usando il loro potere e l’esercito di Israele per sconvolgere la vita dei palestinesi – ma anche ciò che è accaduto a me ne è una prova. Il fatto che vogliano dare fuoco a tutte le copie di Jenin, Jenin dimostra proprio questo: è come essere tornati al Medioevo quando i libri e le persone venivano messi al rogo.
Anche nel modo di affrontare la pandemia di Covid Israele ha fatto differenze: detengono il record nelle vaccinazioni ma i palestinesi nei territori sono stati «dimenticati».
Hanno scelto di usare il loro potere e il loro rapporto privilegiato con tanti altri paesi per mettere Israele al primo posto, lasciando fuori tutti gli altri.
Si appellerà contro la sentenza?
Certo. Farò di nuovo ricorso alla Corte Suprema (che nel 2006 aveva assolto Bakri stabilendo però che il film costituiva una diffamazione, ma che questo non aveva importanza perché i soldati che lo avevano denunciato non apparivano in Jenin, Jenin, ndr). Vedremo cosa accadrà.
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