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Mogherini e diplomazie occidentali, in fila dal golpista Sisi

Mogherini e diplomazie occidentali, in fila dal golpista Sisi/var/www/ilmanifesto/data/wordpress/wp content/uploads/2014/07/16/federica mogherini – Reuters

Egitto Dal ministro degli Esteri francese Laurent Fabius all’omologa italiana, al Cairo si cerca una improbabile trattativa

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 19 luglio 2014

Si avvicendano le visite dei ministri degli Esteri dell’Ue al Cairo con l’aggravarsi della crisi a Gaza: dal ministro degli Esteri francese Laurent Fabius all’omologa italiana Federica Mogherini, candidata del Partito democratico per l’incarico di Alto rappresentante della politica Estera dell’Ue al posto dell’uscente baronessa Catherine Ashton. Non ci sono dubbi che il golpe egiziano del 2013 sia ormai un modello esportabile. Lo hanno capito bene le autorità israeliane che vorrebbero fare piazza pulita di Hamas così come ha fatto l’esercito egiziano dei Fratelli musulmani.

Eppure il passaggio del modello «Stato contro terrorismo» in politica estera sta avendo conseguenze devastanti. L’appiattimento egiziano sulle posizioni intransigenti dell’esercito israeliano ha determinato il fallimento della mediazione del Cairo.

E così, il «tiranno Sisi agisce d’intesa con Israele», ha tuonato il presidente turco Recep Tayyp Erdogan. È ovvio che Hamas, movimento vicino ma non organico all’Organizzazione internazionale dei Fratelli musulmani, non si fidi dell’ex militare Abdel Fattah al-Sisi, che ha scalato le vette della politica egiziana distruggendo la transizione democratica in corso nel paese e reprimendo senza mezzi termini il più grande partito di opposizione.
Tant’è vero che venerdì, dopo l’attacco terrestre a Gaza, l’esercito egiziano, pur dicendosi preoccupato dell’«escalation» militare israeliana, ha stigmatizzato prima di tutto il comportamento «irresponsabile» di Hamas, colpevole di non aver accettato un cessate il fuoco, imposto dal Cairo.

Per mostrare però che ad essere isolato in Medio oriente non è l’Egitto ma Hamas, Sisi ha bisogno dell’aiuto di tutti: dal Segretario di Stato Usa, John Kerry, chiamato in causa continuamente dal ministro degli Esteri egiziano, Sameh Shoukry, al consigliere economico di Sisi e inviato per il Medio oriente del Quartetto (Usa-Russia-Ue-Onu), Tony Blair, che avrebbe avuto un ruolo chiave nella definizione del cessate il fuoco unilaterale, annunciato lo scorso martedì dal Cairo.

Il piano prevedeva la fine immediata delle ostilità e 48 ore di colloqui tra le parti in Egitto. Shoukry ha poi assicurato che i rapporti Usa-Egitto sono «migliorati» dopo il golpe: conferma definitiva di quanto la vittoria islamista di Morsi nel 2012 fosse vista con scetticismo da ampie parti della diplomazia e del Congresso Usa. In realtà, il presidente degli Stati uniti, Barack Obama ha chiarito che la nuova mediazione egiziana, sostenuta da Washington, prevede il ritorno al testo del cessate il fuoco del 2012, negoziato dall’ex presidente Morsi. L’iniziativa venne criticata da Hamas perché non prevedeva la fine dell’embargo, imposto nel 2007 da Israele contro la Striscia di Gaza.

Prima dell’invasione di terra della Striscia dello scorso venerdì, Mahmoud Abbas, presidente dell’Autorità nazionale palestinese (Anp), dopo aver accettato il cessate il fuoco proposto dall’Egitto, aveva incontrato Sisi al Cairo, con la benedizione del Segretario generale della Lega araba, Nabil el Arabi. Il leader di Hamas, Mussa Abu Marzuq ha chiesto invece che alla bozza venga aggiunta la riapertura di tutti i confini per il passaggio di beni e persone, incluso il valico di Rafah: condizione che egiziani e israeliani mostrano di non avere nessuna intenzione di accettare. Dal canto loro, movimenti liberali e di sinistra in Egitto hanno organizzato un incontro in solidarietà con la resistenza palestinese, accusando Sisi di proteggere soltanto gli «interessi di Israele».

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