Amedeo Modigliani richiama a stilemi attestati nella pittura italiana del Tre e del Quattrocento, massime in Toscana e in special modo a Siena. Impropri, e spesso fuorvianti, mi paiono per Modigliani i riferimenti, comunemente ripetuti, a Botticelli e, di conseguenza, ai preraffaelliti inglesi. Costoro, nello stereotipo botticelliano, menano la pittura a decorazione. Modigliani non si stacca mai dalla condizione del ritratto, ovvero dall’astante in posa da restituire in cifra. Lineare la sua, di Modigliani dico, che ha visto Simone, Sassetta, Neroccio e gli altri senesi. Impeccabile mi sembra quanto scrive Renato Paresce a Giovanni Scheiwiller, da Parigi nel gennaio del 1930, che ritengo opportuno riportare con ampiezza: «Appena si trovava dinanzi alla tela Modigliani riacquistava una perfetta chiaroveggenza. Dipingeva recitando versi del Poliziano, canti danteschi o improvvisando versi nella vena di Apollinaire o Reverdy.

Non una pennellata era posta a caso nulla veniva abbandonato al gioco misterioso dell’azzardo, nulla alle incertezze di una falsa riuscita. Disegnava sulla tela meticolosamente con un tratto unito e continuo e poi con pazienza di primitivo riempiva il contorno, curandosi di non celarlo accavallandovi pennellate incoerenti o disordinate. Affermava la sua volontà con un tratto esile ma preciso ed essenziale, anziché mediante forme. Con una linea perfetta nella sua sinuosità, quasi diafana ma fortemente sensuale, Modigliani riuscì a comunicare alla realtà quella vibrazione e quell’accento di poesia profonda che forse soltanto i pittori senesi avevano espresso prima di lui. E si approssimò alle soglie dell’irrealtà, mediante la immaterialità».

Le indicazioni perfette di Paresce mostrano che la pittura di Modigliani risiede intera nella delicatezza del tratto in punta di pennello. La sua è una pittura registrata sulle velature e le variazioni minime della stesura e appunto della velatura recuperata in certi tratti come un ripassare a secco o, comunque, in seconda battuta. Certo è che le sue opere conservano i tempi riconoscibili di ‘sedute’ successive. Modigliani non dipinge se non per assidui ritorni e aggiunte circoscritte. È così che si determina una ‘stoffa’ del pigmento che non trovi – anzi è con determinazione rifiutata – né in Matisse né in Picasso o Braque o Soutine o Boccioni per stare a ricerche coeve e note a Modigliani e da lui considerate e ben valutate.

Così, se la rottura futurista o fauve o cubista è specialmente evidente nella stesura, Modigliani appare tal quale un maestro toscano del Quattrocento – penso ad esempio a Neroccio – che imposti il lavoro nelle sue linee disegnative e lo porti ad un livello di prima compiutezza, o di diminuita finitezza, lì dove lo lascia. La concertazione tra il tassello compiuto e finito, e può essere – e per lo più è – un menomo particolare (un bottone, un orecchio, un labbro, la luce sulla rotondità d’una guancia) e quanto resta per esser condotto a termine – ma a termine non è stato condotto – è la grande, magica, aerea, sospensione di Modigliani. Senti quando Modigliani si è fermato, ma senti anche la nessuna necessità di dover continuare.

La recezione diffusa e vastissima delle pitture di Modigliani, ovvero dei ritratti, si limita alla banale rilevazione d’un allungamento, d’una qualche deformazione, come d’un volto riflesso in uno specchio convesso. La sinuosità, il rameggio, la voluta ottenute secondo regola disegnativa orientano la ritmica della stesura, ossia le relazioni cromatiche. L’universo di risonanze contrappuntistiche, i rinvii e i richiami vanescenti che abitano tra linea e croma sono annientati dalle riproduzioni fotografiche al punto che la fortuna popolare di Modigliani, la sua riconoscibilità ridotta a marchio, nasce e si diffonde proprio in virtù di questo annullamento totale del prezioso, del raro, dell’impercettibile.

Nelle riproduzioni l’evanescenza di Modigliani è ridotta a uniformità e gravezza con il risultato che, là dove un ritratto di Modigliani vive di un respiro, si muove per oscillazioni implicite che la voluta segnala, nella riproduzione si trasforma in banale sagoma.