Nella storia dell’arte, si sa, c’è tanta geografia. Quella fisica, fatta di città, di scuole, di botteghe, e quella umana, fatta di linee invisibili che tracciano le cartografie della vita degli artisti.

All’inizo del Novecento c’è un solo punto possibile dove tutte le geografie artistiche della modernità convergono: Parigi. È qui che nel 1914 l’artista, Amedeo Modigliani, incontra il mercante, Paul Guillaume. In soli pochi anni di frequentazione, dal 1914 al 1919, costituiranno una tra le «cordate» più coraggiose dell’arte moderna. Un vero exploit, vista l’epoca.

Alla relazione tra queste due figure nel contesto parigino degli anni dieci, e al ruolo giocato da Guillaume nella diffusione dell’opera di Modigliani sul mercato francese e americano degli anni venti, è dedicata la mostra Modigliani Un peintre e son marchand, curata da Cécile Gilardeau e Simonetta Fraquelli e visitabile fino al 15 gennaio al Musée de l’Orangerie.

Due sono i nuclei fondanti delle collezioni permanenti di questo museo: le Ninfee di Monet e la collezione Walter-Guillaume, che con le sue cinque tele di Modigliani può, a pieno titolo, considerarsi una referenza in materia. La mostra viene così a completare una serie di esposizioni-dialogo tra il mercante e alcune figure maggiori del suo tempo proposte in questi ultimi anni dal museo parigino: Apollinaire, De Chirico, Soutine.

Amedeo Modigliani a Parigi, circa 1915, atelier di rue Ravignan, fotografia di Paul Guillaume

L’esposizione apre dando le coordinate della narrazione: Parigi, settembre 1914, data in cui l’artista e il suo mercante si conoscono grazie alla mediazione del poeta Max Jacob. Una serie di ritratti magnetici realizzati da Modigliani racconta i volti della sua cerchia d’amici: Jacob, Soutine, Hastings, Kisling, Picasso, Apollinaire. Tra questi ritratti spiccano quelli, numerosi, dedicati a Paul Guillaume, figura che il pittore non esita a qualificare, sulla tela stessa di uno di questi (Ritratto di Paul Guillaume, 1915, Orangerie), «novo pilota-stella maris». Le aspettative sono chiare.

Nel 1914 Modigliani ha trent’anni. Era arrivato a Parigi otto anni prima, attratto come molti dall’effervescenza artistica della città. Dietro di sé aveva lasciato la sua Livorno e una famiglia complessa, fatta di due culture, quella ebraica, da parte di padre, e quella francese, da parte di madre; una famiglia con poco denaro e tanta cultura.

Affetto da problemi polmonari, Modigliani aveva passato la maggior parte della sua infanzia immobile sul suo letto, protetto come in un vaso di cristallo. A fini terapeutici, la madre aveva deciso di condurlo in un viaggio verso Sud, in cerca di sole: Capri, Amalfi, e poi Napoli e Roma, dove il ragazzo scopre la potenza della scultura antica. Sono le prime tappe di una nuova geografia per Modigliani, che conosce così per la prima volta l’Italia, la sua luce e la sua arte. Il seguito fu inevitabile. La pratica del disegno, fino ad allora racchiusa nell’intimità della sua stanza, era diventata una necessità, un’evidenza che lo condusse a una nuova tappa del suo personale iter: Firenze, la Scuola libera del nudo all’Accademia di Belle arti, la bottega del macchiaiolo Giovanni Fattori, e la scoperta, violenta, del colore manierista; una deflagrazione di cui porteranno i segni tutte le sue tele.

E infine Venezia. Alla Biennale scoprì gli impressionisti, le sculture di Rodin, i simbolisti. È qui che tra feste, sedute di spiritismo e hashish, Ardengo Soffici e Manuel Ortis de Zarate, habitués della scena artistica parigina, gli avevano parlato delle nuove tendenze pittoriche sorte oltralpe. Quelle parole erano bastate per convincerlo a partire e a lasciare l’Italia, che non gli bastava più. E arrivato a Parigi, quella personale geografia era ormai storia. Sempre in biblico tra Montmartre e Montparnasse, Modigliani incrociò il cammino dell’avanguardia parigina senza mai integrarla veramente. Perché Modigliani fa sempre un pas de coté rispetto agli -ismi del suo tempo; le etichette non fanno per lui.

A partire del 1909 aveva iniziato a esporre al Salon d’Automne, nuovo tempio della modernità, una serie di teste in pietra, estremamente sintetiche, nate dall’incontro rivelatore con Brancusi e fortemente ispirate alla scultura greca d’epoca pre-classica, vista al Louvre, ma anche a quella oceanica, scoperta al museo etnografico del Trocadero.

Nel 1914 Paul Guillaume ha ventitré anni. Parigino, di origini popolari, si avvicina all’arte da autodidatta, forgiando il suo gusto attraverso la frequentazione dell’avanguardia e in particolar modo di Guillaume Apollinaire. Nello stesso anno apre la sua prima galleria, una scelta coraggiosa, all’alba di un conflitto mondiale; qui espone Matisse, Derain, Picasso, Gontcharova, De Chirico. E quando poco tempo dopo sarà costretto a chiudere, proseguirà la sua attività nell’appartamento in cui vive, avenue Villiers, organizzando mostre ed eventi in attesa di tempi migliori.

Paul Guillaume a Parigi, circa 1915, nell’atelier di Amedeo Modigliani, rue Ravignan, fotografato dall’artista livornese

Visionario, dotato di grande intuizione e senso degli affari, Guillaume riuscirà rapidamente a imporsi, portando un nuovo soffio nell’ambiente del mercato dell’arte, dove si distingue per la sua capacità di coniugare il gusto per la modernità figurativa e quello per le arti extra-occidentali. Guillaume diventa infatti uno dei principali attori della promozione dell’arte africana in Francia e negli Stati Uniti. Invierà una parte delle sue opere africane alla prima mostra newyorkese di questo genere, organizzata da Alfred Stieglitz proprio nel 1914.

E poi la guerra diventa una realtà. Modigliani non ha la nazionalità francese, ma, di salute fragile, è riformato. E mentre molti giovani della sua generazione partono al fronte, lui resta a Parigi, come Picasso. Sentinella di un mondo sospeso, tenta di proseguire la sua attività artistica, non senza difficoltà. I problemi polmonari rendono la pratica della scultura sempre più difficile, portandolo rapidamente al suo totale abbandono. Una rinuncia dolorosa. Così, quando Guillaume gli offre un contratto e un atelier a Montmartre, perché prosegua le sue ricerche nell’ambito della pittura, un nuovo avvenire sembra definirsi all’orizzonte.

Nonostante la relazione tra i due non superi mai i limiti professionali, sono molti gli elementi che li accomuna: il fervore con il quale affrontano la vita, la passione per la letteratura, la curiosità per le arti extra-europee. Guillaume diventa così non solo un ardente difensore del lavoro di Modigliani ma anche, probabilmente, il suo primo importante interprete critico, grazie a una serie di allestimenti pionieristici, che diventeranno il suo marchio di fabbrica, nei quali associa fianco a fianco e senza gerarchie opere dell’artista livornese e maschere e feticci «negri». La mostra ci dà un esempio di questa potente e folgorante intuizione, grazie alla presenza di tre teste in pietra di Modigliani esposte accanto ad alcune delle maschere Fang provenienti dalla collezione Guillaume, in una sorta di ricostituzione delle celebri esposizioni nella galleria del mercante. La stilizzazione delle forme, il senso di monumentalità evocato non dalle dimensioni ma dalla potenza plastica del frammento, associano l’opera di Modigliani al gusto «primitivista» che attraversa l’opera di molti artisti d’avanguardia, senza che essa scada mai in soluzioni derivative. E lo si vede soprattutto quando Modigliani trasferisce le stesse caratteristiche alla pratica pittorica, in una serie di ritratti nei quali alle forme angolari e allungate associa la potenza del colore manierista: Lola de Valence, dal Met di New York, ne è un esempio straordinario.

Gli ultimi tre anni di vita segnano l’apice dell’arte di Modigliani grazie alla serie dei grandi e scandalosi nudi distesi: in mostra quello della Fondazione Agnelli ne è un supremo esempio. E anche se a partire dal 1918 un altro mecenate, Léopold Zborowski, entrerà nella vita di Modigliani, Paul Guillaume non smetterà di difendere il suo lavoro. Alcune fotografie lo mostrano accanto ad Amedeo sulla Promenade des anglais a Nizza, dove l’artista si era oramai trasferito per ragioni di salute, e per sfuggire ai bombardamenti parigini, con la compagna Jeanne Hébuterne.

Guillaume acquista molti dei dipinti realizzati in questo periodo, soprattutto ritratti di anonimi, di forte ispirazione cézanniana, caratterizzati da una nuova tavolozza, più luminosa (La blusa rosa): li diffonderà nel mercato internazionale. In queste opere Modigliani crea un nuovo tipo, un ideale femminile al quale molta arte moderna sarà debitrice a seguire. Guillaume lo sa e lo sosterrà sempre, anche dopo il tragico suicidio nel 1920, dalle pagine della rivista da lui creata «Les arts à Paris».