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Modesta proposta per difendersi dai nuovi populismi

Modesta proposta per difendersi dai nuovi populismiUna scena di «Jojo Rabbit»

AL CINEMA «Jojo Rabbit», un film di di Taika Waititi

Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 23 gennaio 2020

Ironizzare sul nazismo è un classico del’umorismo, ed ecco che ora con Jojo Rabbit Taika Waititi (Thor: Ragnarok) si mette in scena come Chaplin che interpretava Hitler col suo mappamondo. Anche qui Hitler gioca, è l’amico immaginario di Johannes fervente giovane nazista di dieci anni che si prepara ad entrare nella Jungfolk ad aggiungersi alle milizie nelle ultime fasi della guerra (furono arruolati bambini in quantità) pur avendo poca dimestichezza con la violenza. E non si accorge neanche che la madre milita nella resistenza e nasconde una ragazzina ebrea.

Tratto dal romanzo del 2004 Come semi d’autunno (Caging Skies) di Christine Leunens, vincitore a Toronto del premio del pubblico, è travolto da una valanga di nomination agli Oscar: l’attrice non protagonista (Scarlett Johansson), la sceneggiatura, la scenografia, il montaggio, i costumi, tutto girato a Barrandov con maestranze ceche. La cosa che meno convince è la nomination come miglior film: mentre una commedia nera è di immediato impatto, da Treni strettamente sorvegliati nella Boemia occupata dai nazisti a Train de vie di Mihaileanu, dal Führer gay di Mel Brooks ai lager di Benigni, alle letture tarantiniane, qui forse non percepiamo l’humour neozelandese-yddish del regista, tanto il film appare sgangherato. O forse chi ha vissuto nel clima del dopoguerra ha una percezione troppo ravvicinata ai fatti narrati, con i carri armati che ancora circolavano nelle città, i padri che servivano da fonti dirette nei racconti di guerra. Al contrario la nuova generazione che ha fatto del film il cult della stagione forse ne percepisce i protagonisti efferati come pupazzi da videogioco, vuole esorcizzare quella certa aria di nazismo che invade l’Europa per la seconda volta (e questa volta non sembra una farsa).

LA VERSIONE doppiata in italiano lascia indovinare perfino nel labiale lo slang newyorkese degli interpreti oltre che la gestualità, il che dovrebbe dare una nota aggiuntiva di comicità da serial tv, ma risulta al contrario piuttosto deprimente. Dopo un primo tempo ad andamento ilare e giocondo si passa all’improvviso ad un secondo tempo di tono drammatico completamente rovesciato ma che mantiene ancora i residui della visione infantile della prima parte (non che la Storia non riservi sorprese del genere), come una Mary Poppins diventata all’improvviso Anna Frank.

È SOPRATTUTTO il risvolto didattico del film a non convincere: per tutto il tempo una voce sotterranea suggerisce soprattutto al pubblico teen-ager di ascoltare la voce del «fanciulletto» che è in noi per difendersi dagli autoritarismi, dalle dittature, dalle troppo invadenti voci menzognere. E invece sarebbe stato meglio non saltare le ore di addestramento militare

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