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Moderne e inaccessibili nella maison Boldini

Moderne e inaccessibili nella maison BoldiniMaison Laferrière, abito da sera in seta, c. 1900, Londra, Victoria & Albert Museum, dono di Lady Lloyd

A Ferrara, Palazzo dei Diamanti, "Boldini e la moda" La mostra mette a fronte dipinti e vestiti per dire una rivoluzione di gusto che, tra Otto e Novecento, libera l’immagine femminile nel segno dell’alta sartoria. I protagonisti: dalla marchesa Casati a madame Lydig, dal sarto Paul Poiret al dandy Montesquiou

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 3 marzo 2019

«Che cos’è il nostro io?», si domanda Madame Merle, l’anima nera di Ritratto di Signora, «dove comincia? dove finisce? Trabocca in tutto ciò che ci appartiene, e poi rifluisce di nuovo in noi. So che gran parte di me è nei vestiti che scelgo e che indosso. Io ho un grande rispetto per le cose! Il nostro io, per gli altri, è l’espressione che noi diamo del nostro io; e la nostra casa, i nostri mobili, il nostro abbigliamento, i libri che leggiamo, gli amici che scegliamo… tutte queste cose sono profondamente significative!» Sono parole di una sconcertante modernità, che dobbiamo tenere ben presenti mentre visitiamo le sale della elegante, è proprio il caso di dirlo, mostra Boldini e la Moda, al Palazzo dei Diamanti di Ferrara fino al 2 giugno.
Per la cronaca Isabel Archer, l’eroina del romanzo di Henry James così amata dallo scrittore americano, non è affatto d’accordo con le parole della sua rivale alla quale, poche righe dopo, risponde: «Non so se riesco ad esprimere me stessa, ma so che null’altro riesce a farlo. Nulla di ciò che mi appartiene è un’espressione della mia personalità; al contrario è un limite, una barriera, qualcosa di perfettamente arbitrario. Certo i vestiti che scelgo, come lei dice, non mi rappresentano: il cielo non voglia!» E ancora, poco dopo, la giovane ereditiera americana afferma che «i miei vestiti possono essere l’espressione della mia sarta, non di me stessa. Tanto per cominciare, non ho scelto io di indossarli; mi sono imposti dalla società».
Ma tutto in quegli anni stava rapidamente cambiando, le donne, la pittura e, soprattutto, la moda: Ritratto di Signora – il romanzo che dà il nome a una sala della mostra – è del 1881, e già pochi anni più tardi, in piena belle époque, la marchesa Luisa Casati auspicava per se stessa di essere ricordata come un’opera d’arte vivente. Di lei Jean Cocteau disse che «non si trattava più di piacere o non piacere, né tantomeno di stupire. Si trattava di sbalordire», e per sbalordire la Casati si affidò ai migliori sarti del momento per essere ricordata nel tempo ai più grandi artisti, consolidando così quel rapporto fra arte e moda che sarebbe diventato sempre più inseparabile negli anni a venire.
Il primo incontro fra la divina marchesa e Giovanni Boldini fu al Danieli di Venezia nell’estate del 1908 e rischiò di essere un fallimento. Era stato Gabriele D’Annunzio a organizzarlo, e quando la collana che la Casati indossava entrando nelle ampie sale dell’albergo veneziano improvvisamente si ruppe e le perle rimbalzarono ovunque sul pavimento di marmo, lei si sentì persa, ma proprio in quell’istante il pittore ferrarese ne incrociò lo sguardo e per la prima volta vide da vicino i suoi famosi occhi immensi. Affascinato dall’idea di dipingere quegli occhi iniziò subito a fare alcuni schizzi preparatori e venne deciso che la donna sarebbe andata a Parigi in autunno, dove il pittore ormai risiedeva stabilmente, per posare per un grande quadro a figura intera. Fu così che Boldini dipinse il primo ritratto della marchesa Casati nel 1908, in cui è avvolta in un elegante vestito nero di Paul Poiret con due levrieri ai suoi piedi – che divenne subito un simbolo della donna moderna, bellissima, eccentrica e inaccessibile –, ma soprattutto il meraviglioso secondo ritratto del 1913, una delle opere più rappresentative della mostra ferrarese, su cui l’artista continuò però a lavorare anche nell’anno successivo, in cui è circondata da un elegante e folle turbine di penne di pavone.
Se fu Boldini a intuire profondamente e a rappresentare nel modo più elegante la stravagante personalità della Casati, quest’ultima, dopo aver indossato le creazioni delle più tradizionali maisons di Charles Frederick Worth e Jacques Doucet, trovò in Paul Poiret colui che la trasformò definitivamente in un’icona di stile. Gli abiti di Poiret, a vita alta e dagli impercettibili drappeggi, rielaboravano infatti l’immagine della bellezza femminile sostituendo le più classiche curve a clessidra con una silhouette maggiormente allungata, sinuosa, sottile e contemporanea, liberando finalmente le donne dai corsetti con le stecche di balena e dalle ingombranti sottogonne del passato.
Si tratta di un passaggio decisivo nella storia del gusto e della moda femminile. Con uno stile decisamente orientaleggiante, nel quale si sentiva l’eco dei Balletti russi che avevano dominato le scene parigine di fine secolo segnando un’inedita unione fra moda, arte e spettacolo, le donne dell’alta società dei primi anni del Novecento abbandonano i tradizionali abiti che le stringevano in vita per adottare ampie tuniche ricamate con tessuti preziosi.
Nelle sale della mostra i ritratti delle più sofisticate rappresentanti dell’aristocrazia europea, protagoniste di famosi salotti parigini oltre che di stravaganti pettegolezzi, come la bellissima Cléo de Merode, celebre per la sua relazione segreta con Leopoldo II del Belgio, si alternano con quelli del pittore James McNeill Whistler che viene colto quasi di sorpresa, in una posa decisamente informale, con il gomito appoggiato di traverso allo schienale della sedia e del dandy Robert de Montesquiou, in cui tutte le tonalità del grigio fanno risaltare l’altezzosa figura del barone, simbolo della mondanità parigina, nell’atto di voltarsi con un elegante bastone da passeggio fra le mani.
I ritratti dell’attrice Alice Regnault, di Consuelo Vanderbilt con il figlio, in un’intima scena dal sapore inaspettatamente familiare, e di Gladys Deacon, la bellissima seconda moglie americana del duca di Marlborough, proiettano i loro riflessi nelle teche dove sono esposti gli abiti di Jeanne Paquin, della maison Laferrière, di Jeanne Lanvin e della house of Worth, insieme al dipinto di una coppia a passeggio nel Bois de Boulogne, una scena quest’ultima in cui è ritratta Rita Hernandez de Acosta insieme al suo secondo marito, l’inglese Philip Lydig.
Bella, ambiziosa e americana, nata a New York nel 1875, Madame Lydig aveva usato l’accordo di divorzio dal primo marito, il miliardario americano William Earl Dodge Stokes di oltre vent’anni più anziano di lei, di ben due milioni di dollari, per crearsi, insieme a un leggendario guardaroba di cui favoleggiavano le cronache mondane del tempo, un’immagine pubblica che inevitabilmente faceva concorrenza a quella di Luisa Casati, la quale soffrì molto a causa di questa rivalità. Anche il secondo matrimonio della giovane americana, così come il primo, non fu però fortunato, e il dipinto resterà di proprietà di Boldini stesso dopo il divorzio della nuova coppia.
Fino all’ultima – bellissima – sala: qui due lunghe tuniche da ricevimento appartenute a Eleonora Duse e il famoso e rivoluzionario abito Delphos in seta plissettata di Mariano Fortuny concludono, insieme al meraviglioso ritratto della marchesa Casati, quel percorso di eleganza ed emancipazione della moda femminile a cavallo fra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento, in quel misto di fin de siècle e belle époque, di cui i quadri di Boldini sono preziosi testimoni.
Il catalogo della mostra, oltre a un ottimo apparato di studi critici e a un’attenta scelta di immagini, risulta particolarmente interessante come esperimento editoriale, impaginato in modo da rievocare una sorta di rivista femminile di costume, legando ulteriormente la pittura in mostra alla moda che, come scrive Benedetta Craveri nel suo saggio, «figlia della mondanità, capricciosa e vana… incitava al cambiamento, incoraggiava l’emulazione e minacciava la stabilità di una società d’ordini, favorendo le trasformazioni sociali e la confusione dei ranghi».

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