Visioni

Moder: «Il capitalismo ha vinto»

Moder: «Il capitalismo ha vinto»Moder – foto di Alessandra Dragoni

Note sparse Incontro con il rapper ravennate che ha pubblicato il nuovo album, «Otto dicembre», una sorta di sublimazione della sofferenza accanto a un forte senso di riscatto umano e politico

Pubblicato quasi 8 anni faEdizione del 30 novembre 2016

Riscrivere la storia personale e la visione del mondo partendo da una data che coincide con il proprio compleanno e la scomparsa del padre. Otto dicembre (Glory Hole Records) è il nuovo album del rapper ravennate Moder (classe 1983), una sorta di sublimazione della sofferenza che si insinua in ogni traccia insieme a un forte senso di riscatto umano e politico, senza mai scadere nel compatimento. Un processo creativo che lo stesso autore racconta: «Il pezzo che mi ha aperto gli occhi è stato Mauro e Tiziana (canzone dedicata ai genitori, ndr): lo scrissi di getto e alla fine era come se stessi meglio, anche fisicamente. Decisi allora di non risparmiarmi niente, di riaprire le cicatrici per vedere se faceva ancora tanto male. È stato un viaggio e ho scoperto cose di me che forse non avevo mai saputo».

Un hip hop intimo e controcorrente – più che impegnato è critico verso ciò che vede e sente in strada – che lo posiziona con i rapper d’autore. Un passaggio che si distacca dall’esperienza con la sua altra band, Il Lato Oscuro Della Costa: «Da quei tempi sono cambiato molto, ora ho molte responsabilità: una figlia, un mutuo, un locale. Il mio approccio è cambiato ma riascoltando i lavori precedenti sento i germi di Otto dicembre che scavavano per uscire». Altro nodo centrale del disco è l’assenza per un mondo che Moder non ha vissuto, quello delle lotte in strada e della coscienza di classe. Il rap è un buon megafono specialmente per le generazioni più giovani ma sono anche quelle che più di altre agiscono nella «lotta dei mi piace».

Ci si domanda allora se il rap possa ancora essere un forma di ribellione distaccato dall’autocelebrazione: «L’autocelebrazione è figlia proprio della ribellione… mi spiego: viviamo in un mondo dove la socialità che ha contraddistinto i ‘70 è finita, la politica, la cultura e la vita in genere ci rendono più solitari. Il capitalismo ha vinto svuotando di senso qualsiasi manifestazione collettiva e come diceva Patrizia Cavalli ’li commuove il numero’ dei like ma il giorno dopo non c’è memoria. Nel rap hai solo il tuo nome e la tua reputazione da mettere sul piatto. Ecco il perché dell’autocelebrazione: gridare il proprio nome o scriverlo su un muro è un modo per non essere un avatar. Il nome è radice, è memoria, è territorio ed è giusto portarlo in alto a ogni costo».

Forse per questo nei brani ci sono immagini contestualizzate nella provincia: «In cui non succede mai niente», dove la delusione produce rivalsa e rafforza la singolarità: «La provincia ti dà tutto e ti toglie tutto: a Milano, Moder non sarebbe potuto esistere. La provincia mi ha fatto entrare in contatto con realtà culturali incredibili come il Teatro delle Albe e Bronson Produzioni. È stato faticosissimo e sfiancante ma non vivrei da nessuna altra parte perché queste paludi mi hanno cresciuto e ormai senza questa nebbia non potrei fare musica».

Moder cita Fante, omaggia Nick Drake, ma si ispira anche a Johnny Cash, Tom Waits, Neffa e Kendrick Lamar, come se il rap possa accogliere solo vibrazioni di qualità: «Ho iniziato a rappare per riuscire a fare musica che mi piacesse, per evolvere un talento: secondo me questa è l’aspirazione».

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