Modello Meroni
Cartelli di strada I pantaloni a zampa d’elefante li scoprimmo sulle pagine dei settimanali illustrati che trovavamo dal barbiere. Il primo a cui li vedemmo addosso era stato Gigi Meroni, estrosa ala destra […]
Cartelli di strada I pantaloni a zampa d’elefante li scoprimmo sulle pagine dei settimanali illustrati che trovavamo dal barbiere. Il primo a cui li vedemmo addosso era stato Gigi Meroni, estrosa ala destra […]
I pantaloni a zampa d’elefante li scoprimmo sulle pagine dei settimanali illustrati che trovavamo dal barbiere. Il primo a cui li vedemmo addosso era stato Gigi Meroni, estrosa ala destra del Torino, che fuori dal terreno di gioco assurgeva inconsapevolmente a modello per gli adolescenti di metà anni ’60. Un calciatore che dettava moda nel vestire e nel modo d’essere non si era ancora visto: quello del calcio, e dello sport in generale, era un mondo a tinte grigie, ancorato a rigide regole di costume. Nel decennio precedente Omar Sivori, l’oriundo della Juventus, passava per indisciplinato solo perché scendeva in campo con i calzettoni arrotolati sulle caviglie. In fondo non c’importava granchè del talento calcistico di Meroni, dei suoi dribbling e delle sue sgroppate lungo le linee che delimitano il campo. Di lui si prendeva esempio per i capelli alla fratina, per l’aspetto stravagante e protestatario che già apriva al post conformismo, per le giacche attillate chiuse da quattro bottoni e quei pantaloni a zampa d’elefante che copiavamo nel farceli confezionare su misura. Nel calcio l’astro nascente si chiamava Gigi Riva che rivaleggiava con Sandrino Mazzola a suon di gol.
Benchè nel giro della nazionale (vi giocava a condizione di darsi una sistemata ai capelli e alla barba) Meroni stava lontano da pose snobistiche. Il successo, i soldi, non ne avevano intaccato lo spirito da bohémien. A parte l’eccentricità cui ci ispiravamo, chiunque poteva riflettersi nei suoi comportamenti spontanei, propri dei ragazzi di periferia o di provincia: si relazionava con modestia e cordialità, il tempo libero lo trascorreva tranquillamente in un bar del quartiere a tormentare il flipper che mandava di continuo in tilt, soprattutto non era politicizzato. Come noi insomma, che prima del ’68 (e pure dopo) a tutto pensavamo fuorchè acquisire una coscienza politica. Ma per quale scopo, poi? Certamente era diventato un personaggio, suo malgrado. Un personaggio la cui quotazione di mercato (calcistico) era lievitata via via fino a raggiungere la cifra astronomica di 750 milioni di lire. Il presidente del Torino Orfeo Pianelli, nell’estate 1967, avrebbe formato la squadra ex novo con il ricavato della sua vendita a uno dei soliti squadroni metropolitani. Ma le rimostranze rumorose dei tifosi granata lo convinsero a temporeggiare, fino a rinunciarvi. Non tardò a dolersene. Trascorso un mese dall’avvio del campionato (di mezzo secolo fa) Meroni venne travolto da un’auto sotto casa. Aveva soltanto 24 anni. La società sportiva, con la sua perdita, rischiò il tracollo finanziario. Per noi trascendeva qualsiasi valore. Ci si ritrovò spiazzati, confusi, senza riferimento. Svanito. Come un sogno fugace di gioventù.
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