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Moda versus moda

Moda versus modaGaspard Ulliel

Cannes 67 In concorso Saint Laurent, biopic di Bertrand Bonello. Ma al regista non interessa tanto la carriera dello stilista, piuttosto il modello d’artista che incarna

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 21 maggio 2014

Prima di diventare un film di Bertrand Bonello, Saint Laurent è stato un caso. Raccontarne i dettagli sarebbe togliere spazio alla critica del film. Ma un riassunto interesserà forse il lettore, perché l’affaire Saint-Laurent è esemplare dell’influenza che le marche e i gruppi di potere esercitano sul cinema in Francia. Nel febbraio-marzo del 2012, WY Productions annuncia la produzione di un film su Yves Saint-Laurent, con il regista Jalil Lespert. Bonello, che da molto tempo sta lavorando sul film è preso in contropiede: tre mesi dopo, a Cannes 2012, fa anche lui il suo annuncio. Le noie cominciano immediatamente. Pierre Bergé, l’uomo d’affari con il quale Saint-Laurent ha fondato la sua maison, sostiene Lespert e preme perché il film di Bonello non si faccia. Non si tratta di una questione di contenuto – tutti gli aspetti privati e potenzialmente scandalosi della coppia S.L/Bergé sono noti – ma di una pura questione di principio sulla proprietà morale del marchio YSL. Bergé non ha nulla in particolare contro Bonello, se non che, al contrario di Lespert, questi non è andato a chiedergli il permesso di fare il film.

La macchina di Bergé entra allora in azione: lettere degli avvocati, tentativi di intimidazione, minacce di processi a venire, divieto di utilizzare i costumi… La produzione di Bonello è rimandata. L’altro film, che era partito in ritardo, passa davanti. Qualcuno sospetta che Bergé stesso sia all’origine di questo secondo progetto, lanciato in fretta e furia, forse dopo che Bonello si era assicurato i diritti di un libro su Saint-Laurent… Il secondo film, quello di Lespert, sarà in effetti il primo ad uscire. Modesto negli intenti e nel risultato, è stato già dimenticato… Quello di Bonello, che qui a Cannes è stato presentato in competizione, può piacere o meno, ma è oggettivamente di un ben altro livello. Cosa strana per un biopic, si tratta di un film estremamente personale, quasi intimo.

In ogni film di Bonello, si aggira un’immagine al tempo stesso onnipresente e latente… In Della Guerra, Asia Argento era la padrona di uno strano castello, isolato dal mondo, dove trova rifugio un depresso signor Bernard. Ne L’Apollonide, le mura di un bordello di lusso erano l’estremo asilo di una società decadente. Date queste premesse, è chiaro perché Saint-Laurent interessi Bonello. Personaggio viscontiano, decadente, ossessionato da Proust, Saint-Laurent viveva come un vampiro, fuori dal mondo, rinchiuso tra le mura di vari castelli privi di finestre – il suo appartamento, lo studio, la discoteca dove si recava ogni sera con la sua banda. A interessare Bonello, come si diceva prima, intimamente, non è tanto la biografia, ma il modello d’artista che Saint Laurent incarna. Non a caso, più che sulla vita di Saint-Laurent, il film si concentra su un periodo preciso, confinato tra due collezioni scandalose: quella art déco Libération del 1971 e quella orientale Ballet russe del 1976. Entrambe vanno contro la moda e ne impongono una nuova. A Saint-Laurent riuscì la sfida di adeguare il mondo esterno al proprio tempo interno, che nel 1971 era sincronizzato sugli anni quaranta. Il tempo è del resto la chiave del film, che distrugge la cronologia, va avanti e indietro in maniera capricciosa, seguendo una regola aurea che vale per il tempo ma anche per l’immagine, frammentata a tratti in tanti split screen che fanno il verso alle forme della famosa collezione Mondrian…

Saint Laurent è un modello per il cinema anche dal punto di vista produttivo. È quello che sembra dire Bonello insistendo sul pret-à-porter (fortunata idea di Saint-Laurant che ne fa un tratto distintivo del suo lavoro) e il mercato cinematografico. La domanda è sempre e ancora: che cos’è il cinema ? Pret-à-porter o alta moda ? Per tutti, per pochi, per nessuno ? Per lungo tempo, il cinema d’autore francese è stato un compromesso intelligente tra creazione e industria. A guardare da vicino, sono gli stessi anni d’oro di Saint-Laurent, la cui morte venne annunciata varie volte. Nel film, un caporedattore di Libération, interpretato da Bonello stesso, lo dà per morto – siamo alla fine degli anni settanta. Il giornalista si sbaglia su Saint-Laurent (scomparso nel 2008), ma forse Bonello non si sbaglia sul cinema d’autore.

 

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