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Moda e tecnologia, smarriti nel lusso

Moda e tecnologia, smarriti nel lussoSuzy Menkes con Karl Lagerfeld in una passata Luxury Conference dell'IHT

ManiFashion Il 22 aprile si aprirà a Firenze la prima Condé Nast International Luxury Conference che la casa editrice di Vogue ha voluto organizzare nella città italiana che detiene il massimo know-how in tema di artigianalità e di manualità per la lavorazione di abiti e accessor

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 11 aprile 2015

Tra i tanti concorrenti che la moda si ritrova ad avere in questi anni c’è anche la tecnologia, che spesso si dimostra una tiranna molto più che un’alleata. Da una parte, infatti, la costringe a innovarsi (un bene), dall’altra le ha tolto molto di quell’aspirazionalità che l’ha tenuta in vita per secoli (un male). Come da una parte la tecnologia si serve della moda per acquisire contenuti e ne aumenta le occasioni di acquisto, dall’altra le sottrae possibili clienti e la svilisce al livello del solo prodotto. Insomma, bene che vada, tra la moda e la tecnologia c’è un rapporto sadomasochista, oltretutto acuito dal fatto che la moda stessa si sta autodefinendo come un prodotto di lusso, il che funziona benissimo con la tecnologia avanzata di materiali, macchinari e canali di vendita, ma malissimo con l’idea stessa della moda che, se diventa un prodotto appannaggio solo delle classi iper-ricche, si trasforma in uno stucchevole esercizio del potere dei soldi.

Il 22 aprile si aprirà a Firenze la prima Condé Nast International Luxury Conference che la casa editrice di Vogue ha voluto organizzare nella città italiana che detiene il massimo know-how in tema di artigianalità e di manualità per la lavorazione di abiti e accessori. A organizzare gli incontri internazionali, Jonathan Newhouse, capo della divisione internazionale di Condé Nast che conta 126 titoli in 28 Paesi, ha voluto la decana dei giornalisti di moda Suzy Menkes, fino allo scorso anno all’International Herald Tribune passata alla concorrenza con il titolo di International Editor, un ruolo che le permette di raggiungere i 38 milioni di utenti unici dei tutti i website di Vogue in 13 lingue.

L’iscrizione al convegno costa 2750 sterline più tasse, circa 4mila euro, e si sono iscritti a partecipare amministratori delegati e direttori creativi per ascoltare molte personalità, tra gli altri gli stilisti Karl Lagerfeld, Alber Elbaz, Jeremy Scott, il direttore di Vogue Italia Franca Sozzani e i nomi della nuova generazione che produce il lusso mondiale, come Antoine Arnault, David Lauren, Laudomia Pucci, Axel Dumas-Hermès, su un tema scottante: come può l’hard luxury, e cioè i gioielli, gli orologi e la pelletteria, competere con la tecnologia, che è l’idea del lusso delle nuove generazioni?

Ora, per esempio, si sa che un orologio di lusso costa svariate migliaia di euro mentre l’Apple Watch, il primo smartwatch di Apple che permette la connessione con iPhone e altri device elettronici, ne costa poche centinaia. Con la fondamentale differenza che le nuove generazioni sono più affascinate dalla interconnessione permessa da Cupertino che dai sofisticati movimenti meccanici costruiti sulle Alpi svizzere. E qui si capisce bene quanto la parte che si riunirà a Firenze sia residuale rispetto a quello del resto del mondo. Dove è vero che i mercati ricchi, come Cina, Estremo e Medio Oriente (e molti già puntano su Cuba come il prossimo Eldorado) sono affascinati dal lusso ma è anche vero che sono ossessionati dalla tecnologia.

Il rischio di questo convegno è che si risolva in un esercizio di strategie impostate per continuare a vendere oggetti di lusso che ingrassino i fatturati ma che perdono di vista il vero senso della relazione moda-tecnologia, che è l’innovazione e la compatibilità con il contesto culturale del nuovo mondo. Fa strano che la massima casa editrice mondiale di giornali di moda non abbia riflettuto su questo rischio.

manifashion.ciavarella@gmail.com

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