Mochetti, imponderabile Sessanta
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Mochetti, imponderabile Sessanta

Maurizio Mochetti, "Linea d’orizzonte" (2023), Polignano a Mare, Fondazione Museo Pino Pascali

A Polignano a Mare, Fondazione Museo Pino Pascali, "Lo spazio, il vuoto, l’orizzonte", a cura Antonio Frugis e Marco Tonelli Nell’ex Mattatoio, e nella chiesetta di Santo Stefano, Maurizio Mochetti con un felice insieme di opere di varie stagioni: arte di pura percezione, caso a sé, lontano dalla Pop e dalla Povera

Pubblicato circa un anno faEdizione del 17 settembre 2023
Daniela LancioniPOLIGNANO A MARE (BARI)

A Polignano a Mare è visitabile fino al 23 settembre la mostra di Maurizio Mochetti intitolata Lo spazio, il vuoto, l’orizzonte, a cura Antonio Frugis e Marco Tonelli.

Il titolo è tautologico e non evocativo. Elenca, infatti, tre modi diversi, ma non incompatibili, di percepire l’ambiente, gli stessi che l’autore ha impiegato come materia prima dei suoi lavori. Nato a Roma nel 1940, Mochetti appartiene a quelle generazioni di artisti che hanno dimostrato possibile fare ‘pittura’ con ‘tutto’. «Faremo quadri con tutto, con tutta la materia del mondo», annunciò Emilio Villa nel 1959, e una decina di anni dopo Mochetti oltrepassò quell’azzardo facendo arte anche con quegli elementi dell’esistente cui si accede unicamente attraverso la percezione o l’intuizione, oppure osservando le dinamiche di reazione come fanno i fisici.

A promuovere la mostra è la Fondazione Museo Pino Pascali, istituita dalla Regione Puglia e dal Comune di Polignano a Mare per gestire il patrimonio e l’attività del museo comunale fondato nel 1997 grazie a un significativo lascito di opere e di documenti da parte della famiglia di Pascali. La sua sede espositiva è l’edificio, ampliato e ristrutturato, dell’ex Mattatoio, che affaccia sul mare all’estremità meridionale della cittadina pugliese dove l’Adriatico, il «mare stretto», il «mare intimo», disegna, paradossalmente, un orizzonte larghissimo. Da quel mare, destinato a risuonare nelle sue opere, Pascali si allontanò alla metà degli anni cinquanta per trasferirsi a Roma, sperimentare un linguaggio nuovo e radicale – spericolatissimo in fatto di materiali –, diventare un artista molto apprezzato fino a ottenere una sala personale alla Biennale di Venezia nel 1968 e subito dopo morire in un incidente stradale. Fu allora che i genitori istituirono il premio che porta il suo nome. Il primo a vincerlo, nel 1969, fu proprio Maurizio Mochetti, e l’attuale mostra si ricollega idealmente a quell’esordio.

Mochetti, di cinque anni più giovane di Pascali, non aveva condiviso con questi né galleristi né significative mostre collettive. Pur tenendo conto del fatto che nella Roma degli anni sessanta l’amicizia era un sentimento largamente coltivato e che una diffusa fiducia nella creatività aveva abbattuto barriere ideologiche e relative compartimentazioni, i due artisti, di fatto, si erano mossi su fronti differenti. O meglio, Mochetti sin dai suoi esordi andò collaudando un lavoro che non aveva risonanza con quanto gli fioriva intorno. Una condizione – quella dell’outsider per semplificare – che manterrà costante nella sua biografia artistica. Lo dimostra anche il suo iniziale interesse per Francesco Lo Savio, prematuramente scomparso nel 1963, il cui lavoro incentrato sui fenomeni dello spazio e della luce non aveva goduto del plauso dei coetanei, impegnati con la complessità linguistica delle immagini o con l’arcaica autenticità della materia (lo spettro di ricerche che, sempre per semplificare, andava dalla Pop art all’Arte povera).

Maurizio Mochetti in una foto (part.) di Irene Pucci, 2023

All’epoca del Premio Pascali, Mochetti aveva da poco realizzato la sua prima mostra personale nella prestigiosa galleria romana La Salita, stimata tra le più intrepide e di successo, dove, presentato in catalogo da Marisa Volpi che sarà poi tra i giurati a Polignano a Mare, aveva fatto la scelta imprevedibile, e per quei tempi originalissima, di esporre dieci progetti e solo due opere realizzate: Due dischi di luce e Generatrice. Quest’ultima, stando alle recensioni dell’epoca, venne poi esposta nella mostra allestita nella piccola chiesa sconsacrata di Santo Stefano a Polignano, la cui realizzazione era contemplata dal Premio Pascali.

La mostra attuale non è concepita come una rievocazione del Premio, ma della postura di quegli anni mantiene intatta la determinazione. Un inedito e felice insieme di opere di epoche diverse – nove nell’ex Mattatoio, una nella chiesetta di Santo Stefano – si dispiega negli spazi espositivi come rispondendo ai richiami che provengono dalla luce, dai volumi, dai confini, dai paesaggi interni ed esterni. Tutti elementi, questi, che Mochetti, alla stregua di oggetti trovati, ha inglobato nei suoi lavori.

L’operazione non è poi così distante da quella compiuta dai surrealisti che degli objets trouvés fecero largo uso e con i quali Mochetti condivide un larvato umorismo; non si discosta neanche dalla pratica antica della scultura che modella o intaglia la materia cambiandone i connotati. Del tutto nuovi e strabilianti, invece, nel lavoro di Mochetti sono la natura, la scala e il comportamento delle ‘materie prime’: dematerializzate, mobili, potenziali, ingenti, universali. E l’umorismo che talvolta trasmettono le sue opere non è generato dall’assurdo, come nel caso dei surrealisti, ma dall’imprevisto che emerge dal rilevamento di leggi fisiche difficilmente afferrabili attraverso l’esperienza, come anche dall’osservazione di fenomeni di più semplice comprensione.

Volendo accennare a un tema in voga e ricorrente nelle riflessioni di questi ultimi tempi, credo sia lecito riconoscere a Mochetti il primato di aver affrontato tra i primi nell’arte il rapporto con l’imponderabile che non sia di derivazione divina o magica, ma fisica. Intendendo per imponderabile l’esistente – o il supposto tale – che sfugge alla verifica. L’artista penso abbia condotto questo suo discorso aderendo ai principi più aggiornati della fisica, ma anche con implicazioni metafisiche, senza cadere mai nell’ingenuità di dichiararle, affidandone semmai il rimando alla discrezione dell’osservatore.

All’interno dell’ex Mattatoio, Rimbalzi dissemina sulle pareti, sui pavimenti e sui soffitti un tondino blu descritto dal breve testo che accompagna l’opera come l’impronta lasciata da una pallina: il vuoto, nella logica della fisica corrente, è concepito come un campo, uno spazio abitato all’interno del quale si verificano degli accadimenti, mentre l’unità conferita ai distinti ambienti può evocare, a seconda della sensibilità dell’osservatore, la coscienza di partecipare a una vastità inimmaginabile, l’effetto farfalla e altro ancora. Il ‘vuoto dinamico’ svelato in Rimbalzi è percepito come potenzialità nell’opera Arco potenziale: un arco sospeso a mezz’aria con la freccia incoccata. La freccia ha un posto di rilevo nel lavoro di Mochetti e nelle sue imprevedibili traiettorie risuona l’eco della libertà.

Aereo 360° riconfigura lo spazio, modificando la percezione di un ambiente a pianta rettangolare con la traiettoria circolare di un volo che lambisce, fino quasi a sfiorarle, le pareti della stanza. In Cono F104 Starfighter il ‘vuoto dinamico’ è visualizzato dalla materializzazione del cono formato dalla scia di carburante lasciata da un aereo in volo (aerei e macchine da corsa da sempre sono per Mochetti prediletti vettori di senso). In altre opere l’artista invita a percepire la sostanza del vuoto e le opportunità che esso offre con un processo cognitivo e mnemonico, ossia accorgendosi dell’identità di due calchi – Processo di paragone – Amore e Psiche – posti l’uno distante dall’altro e non osservabili simultaneamente; oppure condividendo con delle sfere di cristallo la possibilità di intercettare una luce laser, facendolo, però, a capriccio dei propri liberi spostamenti nello spazio (Palle di quarzo).

Completano l’esposizione Camouflage Natter pixel rossi, Mare rovesciato, Cristallo con Freccia laser (opera allestita nell’ex chiesa di Santo Stefano) e Linea d’orizzonte, la cui idea è venuta a Mochetti durante l’allestimento, osservando le tre grandi porte finestre affacciate sull’Adriatico saturate di mare e di cielo. La linea dell’orizzonte, dove cielo e mare si incontrano, si trova lì alla stessa altezza, all’incirca, degli occhi del visitatore, e poco più in basso Mochetti ha fatto applicare alle vetrate una pellicola opacizzante in modo da lasciare solo una piccola striscia di mare visibile. Questa modifica funge da imprevista dimostrazione della rotondità della Terra: al confronto con la linea retta della pellicola, la linea dell’orizzonte curva, si assottiglia alle due estremità e si alza al centro: la terra è rotonda!

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