Più che un mistero Moana Pozzi rappresenta ancora oggi per la società italiana una differenza, un movimento irrequieto e totalmente originale. Una tensione che fu vera e bellissima e che seppe sedurre e scandalizzare un paese che negli anni Ottanta si diceva moderno ed europeo, ma in realtà era ancora fortemente arretrato e maschilista. Moana Pozzi scandalizzò perché ruppe gli argini di un mondo – quello del porno – fino ad allora relegato in Italia ad una zona puzzolente per maschi dai vizi più o meno inconfessabili, e si concesse invece il lusso di essere diva in un tempo in cui il divismo stava cedendo il passo alle celebrità da televisione a colori e televendita.

QUANDO Moana Pozzi si affaccia nel mondo dello spettacolo, lo spettacolo in Italia nonostante l’apparenza luccicante sta perdendo pezzi importanti. Il cinema appare un vecchio attrezzo improvvisamente invecchiato e la televisione mangia spazio su ogni altra forma di intrattenimento. Le televisioni private fagocitano le sale cinematografiche e resistono solo quelle porno, ma ancora per poco e all’interno di ghetti di perversione da casa e chiesa.

Moana Pozzi si offre naturalmente allo sguardo altrui e diviene ben presto una diva equivoca, ma famigliare. Ben accolta in tv come in politica, Moana Pozzi è un personaggio puramente stendhaliano capace di rappresentare gli anni Ottanta italiani meglio di chiunque altro, contenendo dentro di sé la leggerezza incosciente e irresponsabile con il presentimento triste di un fine festa imminente e tragica. Lo scandalo e il perbenismo, l’Italia anni ’80, l’autoinvenzione per la telecamera

Indaga la sua figura un ricco testo biografico di Francesca Pellas, Tutto deve brillare. Vita e sogni di Moana Pozzi (Blackie edizioni) a cavallo tra l’inchiesta e il ricordo nostalgico. Pellas in omaggio a Moana Pozzi ha apparecchiato una vera e propria cerimonia degli addii con racconto biografico alternato da commenti a più voci e interviste.

All’’interno del libro si susseguono così chi ha conosciuto la diva e chi invece ancora la ricorda sulla base dell’eco che fu. Un doppio movimento che salda la distanza con la vicinanza, il ricordo di chi era prossimo a Moana Pozzi e l’immaginario che offrì a chi allora magari era ancora solo un bambino o una bambina. Tutto deve brillare, a distanza di trent’anni dalla sua morte, restituisce plasticamente l’impatto che il personaggio di Moana Pozzi ebbe sulla società italiana e sulle coscienze di chi la frequentò, ma soprattutto di chi la vide da lontano: inarrivabile stella di un jet set in verità non poco misero e alquanto ridicolo. Ed è proprio nella sfida al ridicolo (come al sacro) che s’installa la figura di Moana Pozzi.

Eretica Maddalena, ma anche sempre possibile Madonna di un teatro italiano che nei colori acidi delle tv private mostra un inedito gusto per il kitsch, a tratti estremamente rivelatorio e certamente mai banale. Tra rosari e socialisti, tra sesso esplicito e riservatezza estrema, Moana diviene madrina perenne di una nave che si sta dirigendo in fondo al mare, ma al tempo stesso si concede una verità nuova e liberatoria.

Scrive con affilata precisione Jonathan Bazzi di lei: «Si mette a fare il porno per calcolo o sfida, piacere o strategia, giocando un gioco di cui sembra non percepire nessun pericolo: ha sempre saputo di essere più grande di quelle scene, di quegli amplessi a favore di camera? L’autoinvenzione di Moana Pozzi è geniale perché frutto di un’interiorità vasta, cangiante, uno spirito pacifico eppure sfrenato».

Moana Pozzi vive a favore di telecamera offrendo il suo corpo, ma mostrando sempre la fragilità ancora molto beghina e meschina di un popolo guardone e maschilista, mammone e cattolicissimo in crisi evidente con la modernità. Moana Pozzi contiene e mostra, ma mai del tutto se stessa, perché è il mondo che si fa facile vanto del suo corpo come dei suoi sentimenti che finisce in vetrina con le proprie voglie semplici e castrate così come con le proprie irrisolte tragedie.

Individualista scardina uno schema fino ad allora inscalfibile. Rivoluzionaria no di certo, ma fortemente matriarcale e in maniera inedita e sconvolgente per il nostro paese lo fu, pur restando all’interno di una logica individualista che allora si affacciava sulla scena morale ed etica italiana. Fu una brigante, toccata e fuga, prendersi tutto perché tutto brilli.

MA SE È STATA la tragica morte a consegnare un mistero che è più che altro – come spesso accade – una voglia inesauribile di complotto, resta su di lei e pesantemente lo sguardo ossessivo dei maschi italiani. Una violenza latente che Moana Pozzi seppe tenere a bada, ma da cui non potè veramente sfuggire. Una condanna in vita che si tramutò in mitizzazione in morte. Una mitologia utile più a chi la giudicò, che a suo favore e alla sua voglia di libertà. Di essere, come chiude Giulia Pilotti nel libro: «Tutto quello che si vuole, ad accettare le proprie contraddizioni e non ridursi a una definizione sola. Moana è un nome che viene dal mare, e come il mare fa un po’ come cazzo le pare».