Come traspare in maniera cristallina e traboccante in Il ragazzo e l’airone, il suo ultimo lungometraggio animato uscito in patria quest’estate e in arrivo in Italia in gennaio, Hayao Miyazaki durante la sua lunga carriera ha spesse volte pescato e ripescato dalle sue vecchie opere. Rielaborando suggestioni, abbozzi di idee, personaggi, situazioni e elementi visivi provenienti da suoi precedenti lavori animati o opere cartacee, l’animatore e regista giapponese ha cioè intessuto, nel corso degli anni, un arazzo di mondi che si rispecchiano, pur nella loro diversità, l’uno nell’altro.

Succede ad esempio con un libro illustrato intitolato Mononoke hime (Principessa Mononoke), dove nel 1993 Miyazaki raccoglie dei disegni in acquerello realizzati agli inizi degli anni ottanta. Schizzi che l’artista giapponese aveva completato come concept art per un possibile lungometraggio che, a dispetto del titolo, non diventarono l’omonimo film del 1997. Confluirono invece nella realizzazione de Il mio vicino Totoro, protagonista di questi disegni è infatti un grande animale fantastico molto ma molto simile a quella che sarebbe diventata in seguito la mascotte dello Studio Ghibli e il protagonista dell’animazione uscita nel 1988.

Dei primi anni ottanta è anche Shuna no tabi, un lavoro illustrato da poco tradotto in italiano per le edizioni Bao, Il viaggio di Shuna (Bao Publishing, 2023, traduzione di Prisco Oliva), un manga che può essere considerato ed affrontato da diverse prospettive. Come lavoro a sé stante e godibile per quello che è e la storia che propone, ma anche, soprattutto per gli appassionati dell’artista giapponese, come uno sguardo all’interno di quel laboratorio fantastico che è l’immaginazione di Miyazaki.

Pubblicato quarant’anni fa, nel giugno del 1983, nella collana Animage Bunko, Il viaggio di Shuna è una storia illustrata liberamente ispirata ad un’antica fiaba tibetana che molto aveva colpito Miyazaki nei primi anni settanta, quando ne aveva letto la traduzione giapponese Inu ni natta oji (Il principe diventato cane). In questa storia, un principe, per cercare di alleviare la condizione del proprio popolo che da sempre vive in povertà e con un’agricoltura ridotta allo stremo, decide di intraprendere un lungo viaggio verso occidente, dove cerca di procurarsi dei chicchi di grano.

Miyazaki avrebbe voluto adattare la fiaba in animazione, ma considerate le condizioni dell’animazione nel suo paese al tempo, secondo le sue stesse parole, si convinse che economicamente non era fattibile e quindi, quasi come un ripiego, fu spinto dall’editore a realizzarne una versione su carta. Visivamente Il viaggio di Shuna ricorda molto da vicino le atmosfere di Nausicaä della valle del vento, sia il manga, che fu serializzato dal 1982 al 1994, sia il lungometraggio animato pre-Ghibli, uscito nei teatri dell’arcipelago nel marzo del 1984. Come in questi ultimi due lavori, anche ne Il viaggio di Shuna ci sono il deserto, un popolo isolato, un ambiente inquinato e delle presenze soprannaturali al limite del mondo conosciuto. Ma il laboratorio-Miyazaki si spinge ancora più in là, il principe Shuna e l’animale che cavalca, uno yukkul, sono praticamente simili a Ashitaka e al suo animale in Principessa Mononoke, lungometraggio del 1997 che a sua volta ha forti affinità con gli ultimi volumi del manga di Nausicaä, non trasposti nell’omonimo film del 1984. Non sveliamo altri particolari per non rovinare il gusto della scoperta nella lettura, ma esistono nel manga in questione possibili rimandi ad altre opere di Miyazaki, finanche all’ultimo lavoro del nostro, il già citato Il ragazzo e l’airone. Inoltre, una delle protagoniste del lavoro illustrato è Thea, una ragazza che Shuna incontra durante il suo viaggio e tipica eroina miyazakiana. La sua figura e l’ambiente in cui per la prima volta viene introdotta nel racconto, una cittadella fortificata, verranno in seguito recuperati e rielaborati, con tanto di citazione nei titoli di coda, in I racconti di Terramare, il primo lungometraggio animato diretto da Miyazaki figlio, Goro, nel 2006.

In una dichiarazione risalente al 1988, Miyazaki rimarcava come l’animazione (intesa come animazione industriale prodotta attraverso rodovetri) risulta piatta quando viene comparata con i disegni, per esempio ad acquerello, su carta. Per sua propria natura, parafrasiamo qui Miyazaki, molta dell’informazione contenuta nei disegni, in quanto sfumati e più ambigui, in un certo senso viene perduta quando è trasferita sul rodovetro dove i limiti ed i confini delle figure sono più marcati e definiti. Si potrebbe dire che l’animazione negli ultimi decenni si è evoluta e ha oltrepassato i limiti che Miyazaki attribuiva all’uso del rodovetro, ma per il discorso che stiamo qui facendo, diamo per buone le parole del giapponese. Ecco allora che la bellezza e l’impatto della lettura de Il viaggio di Shuna proviene anche, se non soprattutto, dal tratto e dai colori dei disegni e dalla loro qualità, capace di evocare un mondo ed un tempo fantastici. A sottolineare questa caratteristica, va notato il fatto che il volume rappresenta una sorta di eccezione nel mondo dei manga, almeno del tempo. Tutte le pagine del lavoro sono infatti a colori e l’uso della parola scritta non avviene, se non in pochi casi, nelle tradizionali nuvolette, ma in didascalie, caratteristiche che rendono Il viaggio di Shuna una specie di ibrido fra manga e libro illustrato.