Mittelfest, linguaggi storie e altre identità in territori di confine
A teatro Nuova edizione per la manifestazione friulana sotto la direzione artistica di Giacomo Pedini
A teatro Nuova edizione per la manifestazione friulana sotto la direzione artistica di Giacomo Pedini
È tornato Mittelfest, da più di trent’anni istituzione che vuole unire la cultura italiana, e friulana, alla grande Mitteleuropa che queste terre costeggia, oltre a secoli di intensa storia vissuta (e anche guerreggiata) da una e dall’altra parte. Così era nato questo originale festival per mano di Giorgio Pressburger, personificazione quasi fisica della Mittelcultura. Per il quarto anno è ora Giacomo Pedini a dirigerlo, equilibrando l’esigenza conoscitiva con l’ingresso di nuove generazioni, interessanti e utili da conoscere.
HANNO AVUTO particolare successo quest’anno le letture, da parte di Giuseppe Battiston, delle pagine poetiche di Pierluigi Cappello (con un pubblico visibilmente coinvolto e commosso) e Moni Ovadia con un tributo alla cultura, la musica e l’identità rom e sinti. Poi altri ospiti illustri come il grande coreografo Joszef Nadj che ha portato la sua Full Moon. Parola d’ordine di questa edizione era «Disordini», per la prossima, nel luglio ’25, è stata già annunciata «Tabù». Negli ultimi giorni due diversi esempi di spettacolo, almeno nel linguaggio: una bellissima, e coinvolgente, versione de La tana, che Teatrino Giullare ha tratto da Kafka: due interpreti capaci di abili trasformazioni e di profondi affondi, in un viaggio esperienziale per lo spettatore nel labirinto sotterraneo immaginato dall’autore boemo. Di opposto tono, giocato contro la dilapidazione del senso, la performance lungo le vie e i luoghi di Cividale Zlotogrod, del Collettivo L’amalgama e Circo all’inCirca: un percorso, ironico e autoironico, attraverso le vie della città nel segno di Joseph Roth. Uno spettacolo memorabile ha quindi chiuso il festival. In grado di divertire il pubblico e scatenare anche lo spettatore più accigliato. Paradiz è la irresistibile performance di un gruppo di attori/personaggi che per un’ora abbondante si incontrano e si scontrano in un carosello di socialità umana. Potrebbe essere un «ospizio» che invece di smorzare accentua la combattività di uomini e donne, operatori sanitari e assistiti. Ma potrebbe pure essere qualunque luogo comunitario dove le «regole« non frenano i partecipanti, intenti a un’irresistibile giostra di comportamenti e affabulazioni.
Le letture di Battiston, pagine poetiche per Cappello, «Paradiz» o del nostro cronicario quotidiano
UN CRONICARIO, ad esempio, o una entità ospedaliera, abitata da folla di cui non vediamo mai il vero singolo volto, occultato da maschere di un particolare materiale, che offre una impressionante «naturalezza», nonostante il linguaggio sia anche «di fantasia»: un idioma «muto» incomprensibile che asciuga lo spettacolo dal punto di vista verbale ma non dai suoni, tutto affidato a una scatenata fisicità. Una commedia «senza parole», ma di assoluta comprensibilità per il pubblico di ogni paese. Anche per questo, oltre alla sua vis comica irresistibile, meriterebbe sicuramente di girare in Italia. Lo spettacolo nasce dall’invenzione del suo autore regista, Matteo Spiazzi, giovane veronese ma evidentemente esperto del mondo, che l’ha realizzato per il teatro sloveno di Celje. Non avendo la barriera della lingua, risulta godibile per lo spettatore di tutta Europa (come dimostra la fitta tournée e il successo trionfale a Cividale). La sua ambientazione potrebbe evocare una qualche «istituzione repressiva», ma è talmente forte la sua carica, umana ed umoristica, che ogni spettatore può immaginarselo dalle parti di casa propria. Una vera scoperta, che alla fine risolleva l’umore dello spettatore, per la forza e la provocazione, senza costringerlo a scervellarsi, come spesso succede, a cavarne il senso
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