Lavoro

Mittal e Di Maio ora si parlano. Lo sciopero ferma Taranto

Mittal e Di Maio ora si parlano. Lo sciopero ferma TarantoLavoratori in sciopero a Taranto

Ex Ilva Azienda e vicepremier discutono del compromesso per evitare la chiusura dell’acciaieria

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 5 luglio 2019

Dopo le minacce di andarsene, arriva il silenzio. Riserbo assoluto sull’incontro tra Mittal e il ministro Di Maio. Un silenzio che porta a pensare che una soluzione per Taranto sia possibile, se non vicina. Ma indicibile al momento: perché equivarrebbe ad una marcia indietro del ministro sul tema dell’abolizione dell’immunità penale prevista dal decreto Crescita e che ha portato il gruppo franco-indiano ad annunciare la chiusura della più grande acciaieria europea dal 6 settembre, giorno di entrata in vigore della norma.

ALL’ORA DI PRANZO AL MINISTERO del Lavoro di via Veneto sono arrivati i massimi vertici europei del gruppo: con l’ad di ArcelorMittal Europa Geert Van Poelvoorde – autore della minaccia di chiusura di Taranuna settimana fa – e l’ad ed il country Head di ArcelorMittal Italia, Matthieu Jehl e Samuele Pasi. Un’ora di colloquio con il vicepremier con cui siglarono l’accordo industriale e sindacale a settembre scorso, in un contesto di strettissima riservatezza con nessun commento al termine.

Trapela però che il dialogo sia iniziato, che Mittal non parli più di chiusura e che Di Maio sia pronto a trovare una soluzione. Due le possibilità: o modificare con una norma ad hoc la portata dell’abolizione dell’immunità penale prevista nel decreto Crescita legandola ad una stretta verifica del piano ambientale di Mittal su Taranto, o prevedere che le responsabilità penali per i tanti casi di inadempienze ambientali dei Riva negli anni passati non possano ricadere sui nuovi proprietari dell’acciaieria.

Critici sul silenzio i sindacati. «A nessuno sfuggono i comprensibili elementi di riservatezza. Tutto ciò non può, però, – commenta la leader della Fiom, Francesca Re David – legittimare un atteggiamento che sostanzialmente consegna una vicenda di straordinaria rilevanza pubblica e sociale al silenzio dei protagonisti: il destino dell’ex Ilva non è una questione privata».

NEGLI STESSI MOMENTI, da Taranto, i sindacati tracciano il bilancio dello sciopero di 24 ore contro la cassa integrazione avviata per 1.395 dipendenti per 13 settimane: «fabbrica completamente ferma», partecipazione «in massa», adesioni al 75%. Per l’azienda si sono invece limitate al 36%.

Per il leader della Fim Marco Bentivogli è stata «una chiara risposta ad azienda e governo». Una «giornata importante», dice il segretario generale della Uilm Rocco Palombella «non solo per evitare la cig ma per evidenziare come i lavoratori siano preoccupati per il loro destino e gli investimenti del piano ambientale». Ora, dice Re David, «governo e ArcelorMittal ripensino la qualità del sistema di relazioni industriali» con «una netta discontinuità».

Il prossimo e forse decisivo incontro ci sarà martedì 9 luglio. Al tavolo al Mise ci saranno anche i sindacati che chiederanno conto ad azienda e governo dei loro comportamenti. «Bisogna applicare accordi e impegni che sono stati realizzati. Credo che sia il momento della responsabilità», avverte il leader della Cgil Maurizio Landini. ArcelorMittal «non deve fare forzature, ricatti, come ha fatto sulla cassa integrazione. Deve mettersi in testa di discutere con il sindacato»; mentre il governo non può «chiedere ai nuovi arrivati di avere responsabilità sulle cose che sono state fatte in passato»: oggi si lavora anche perché «finalmente nessuno debba più morire né dentro la fabbrica, né fuori. Questa possibilità oggi c’è, perché si parla di 4 miliardi di investimenti»: servono «responsabilità», «controlli, impegni reciproci».

INTANTO A NOVI LIGURE la richiesta di smaltire le ferie entro fine settembre ha messo in preallarme la Fiom: teme che possa preludere alla cig da ottobre.

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