I cigni neri, pubblicato presso la prestigiosa collana di poesia di Passigli, fondata da Mario Luzi, è la sesta raccolta di Enrico Fraccacreta (Passigli Poesia, pp. 80, euro 12). Ma più che di una raccolta, in realtà, si tratta di un poema (suddiviso in tre canti, denominati «migrazioni»): e cioè di un’opera in versi unitaria e compatta, tutta centrata com’è su un unico grumo tematico. E questo grumo tematico potremmo a sua volta qualificarlo come un tema narrativo tout court, tanto appare fattuale nel suo nodo centrale: il racconto dello svolgersi di un’esperienza, rappresentata da un corso di vivaismo tenuto circa vent’anni fa dallo stesso Fraccacreta (come ci svela il suo testo introduttivo al volume) ad alcuni ragazzi e ad alcune ragazze di un centro di salute mentale.

Un poema, dunque, che sfiora la narrazione. I versi sono lunghi e distesi, il metro è spesso l’endecasillabo: ed è anche questo, il respiro dei versi derivante dal loro metro, un particolare che conferisce ritmo narrativo alla scrittura. Ma non dobbiamo farci ingannare, perché I cigni neri in effetti gioca interamente su un doppio registro: alla sua apparente discorsività, sul piano formale, corrispondono una densità e una verticalità, sul piano sostanziale dei contenuti e dei significati, di natura quasi simbolista.

CERTO, NON C’È NIENTE cui non venga attribuito un nome proprio: cose, luoghi, persone. Hanno un nome i luoghi dove si svolge la scena, che sono quelli della terra a cui appartiene l’autore – la Puglia: la baia di Manacore fra Peschici e Vieste, San Severo, Coppa Sentinella, San Marco in Lamis. Ne hanno uno i fiori, le piante, i protagonisti vegetali: dalle «roselline selvatiche» al «cedro» alle «grandi euforbie». Ne hanno uno, infine, anche i ragazzi e le ragazze che avevano partecipato al corso, poco meno che personaggi di un romanzo: come Mario, «che saltella in prima fila» e «perde tempo guardandosi le gambe»; o come Anna che se ne sta «seduta sotto il gelso nero» e «con l’indice della mano fa cerchi sulla torba», «forse ricorda qualcuno» e «dice che un’atmosfera/ si annuncia con il profumo del vento leggero»; o come Filippo, Graziellina, Fuggianill, Totonnopittore, o altri ancora.

Anche il tempo è lineare nel suo scorrimento: le cose accadono nel susseguirsi delle stagioni, «l’inverno nel suo gelo» dopo l’autunno e la primavera dopo l’inverno. Tutto è o sembra reale, insomma, perfino più che realistico: anche il dolore provocato dall’assenza di Antonio quando, a corso concluso, Fraccacreta torna a vedersi con i ragazzi e le ragazze che lo avevano frequentato. È un ritrovarsi fra chi c’è, fra chi può, e per lo stesso motivo è quindi anche un mancarsi, rispetto a chi non c’è più.

EPPURE, dietro tutto questo, l’esattezza della parole nasconde anche verità ulteriori, che trascendono i dati di una realtà apparentemente solo diretta, solo esperienziale; ed è qui che il poema assume una dimensione più ampia, rispetto a quella del racconto solo personale. Cosa sono i cigni neri, del resto, se non uccelli rari che ci rivelano metaforicamente altre possibilità, diverse rispetto a quelle che fino a poco prima sembravano le sole prevedibili, rispetto a ciò che appena prima era ignoto anche a noi stessi? È come se Fraccacreta volesse indicare un’ipotesi, o meglio auspicarla: se è vero che i ragazzi e le ragazze del suo corso, cui aveva cercato di insegnare i misteri delle piante, avevano insegnato a lui, di rimando, a trasformare qualunque rischio di immobilistica compassione in un senso più alto di solidarietà, di fraternità, perché non sperare che quel medesimo senso di fraternità possa allargarsi fino alla fondazione di nuovi orizzonti di senso, più generali o addirittura universali?

I cigni neri può essere letto, sotto questo aspetto, anche come un canto di gratitudine, dolcissimo per quanto dolente. E questi, infatti, sono i versi che lo chiudono, rivolti in fondo al futuro non meno che al passato: «Ai ricami deboli del nuovo giorno/ i primi ad arrivare dalle isole/ come superstiti della sconfitta/ saranno i cigni neri/ laveranno le piume nel lago/ delle grandi tribolazioni/ di chi muore nelle acque/ stretti nelle stive, freddi alle stazioni».