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Misteriosa, Valeria D’Obici

Misteriosa, Valeria D’ObiciPh. Giuseppe Pino

Pagine Dizionario di un’attrice «sui generis» tra cinema e teatro: di Francesco Foschini, da Falsopiano editore

Pubblicato più di un anno faEdizione del 10 giugno 2023

Francesco Foschini, assieme a Stefano Careddu, ha pubblicato per l’editrice Falsopiano di Alessandria un bel volume intitolato Valeria D’Obici. Dizionario di un’attrice «sui generis». Il primo problema, dunque, è capire perché «sui generis». Nulla di negativo, in questa definizione, che risale al linguaggio della filosofia scolastica: «sui generis» è tutto quello che non può essere esattamente definito, o che può essere definito solo parzialmente attraverso il paragone con generi simili e affini.  Si capiscono bene le ragioni che hanno consigliato la forma del dizionario, invece della biografia tradizionale, ma perché Valeria D’Obici sarebbe un’attrice «sui generis»? È per il suo svariare con estrema disinvoltura dal teatro al cinema e alla televisione, dal dramma alla commedia, all’occorrenza accettando di imbruttirsi, di diventare una specie di Nosferatu al femminile. La bellezza è il dono speciale delle attrici, la bellezza e la sua esibizione come tale. Ricordiamo le «bruttine» classiche del cinema italiano, Franca Valeri, Francsca Romana Coluzzi, Luciana Littizzetto, Milena Vukotic, e come siano costrette, nella maggior parte dei film, a subire la preponderanza fisica delle bellone maggiorate. In Passione d’amore, film del 1981 di Ettore Scola, dal romanzo di Iginio Ugo Tachetti, avviene esattamente il contrario.

Il capitano Giorgio Brachetti, giovane, bello, fidanzato con l’altrettanto bella Clara (Laura Antonelli), si innamora suo malgrado di Fosca (D’Obici), parente malaticcia del colonnello (Massimo Girotti) da cui dipende militarmente. Fosca non è bella, anzi, fa di tutto per imbruttirsi, è malata, soggetta a continui attacchi isterici, contro i quali non può nulla neppure il dottore del reparto (Trintignant). Di questa donna malata Giorgio si innamora, attratto dal fascino maligno della malattia stessa, e pur essendo consapevole del fatto che la malattia di lei si trasmetterà a lui. Anche la sua salute declina, la sua carriera è stroncata. Sfidato dal suo colonnello, che si sente tradito, in un duello alla pistola, è costretto a ucciderlo.

Il film ha termine con Giorgio che, in un angolo d’una taverna malfamata, racconta la sua storia a un nano deforme. Il nano ride a sentirla, sghignazza, e conclude: «Che storia assurda! Non ci si può innamorare di una donna brutta!». Ma non era solo questione di bruttezza, quanto di malattia, di attrazione e fascino nei confronti della morte. Peccato solo che in questa prova eccezionale, Valeria fosse costretta a essere doppiata, dato che Scola pretendeva dagli attori un accento piemontese, che lei, ligure, non riusciva a imitare correttamente.

Foschini segue con grande attenzione e sensibilità le quattro fasi della carriera di Valeria, dagli inizi a teatro, con le partecipazioni all’Arialda e all’Ambleto di Testori, messe in scena da Franco Parenti e Andrée Ruth Shammah, al Salone Pier Lombardo di Milano (1973). Segue la fase romana, dove continua la carriera teatrale. Poi la scopre il cinema. Infine, il ritorno periodico a Milano, che diventa per lei una sorta di oasi di pace.

La «bruttezza» non ha nessuna importanza. Sempre nel 1981, Peter Del Monte la utilizza in Piso pisello, come contraltare alla bellezza della ragazza che il piccolo Oliviero ha reso madre, quasi senza rendersene conto, del piccolissimo Cristiano. Tutti e due si trovano coinvolti in strane avventure, il furto d’un tram, l’incontro con un uomo capace di parlare con gli animali, ecc. Valeria si trova dunque a essere contemporaneamente madre e nonna di un minore, ma non rinuncia al ruolo dell’inconcludente contestatrice. Oliviero se ne va alla ventura con Cristiano, salvo poi tornare e affrontare a tutti i costi una situazione che si prospetta già ben difficile.

Per Liliana Cavani, nel 1993, Valeria interpreta invece un ruolo di zia saggia in Dove siete? Io sono qui. Dopo le commedie, piu’ esattamente farse, con Massimo Boldi, che possiamo tranquillamente trascurare, ma di cui Foschini comunque coglie qualche momento notevole, nel 2019 Valeria torna ai lavori «seri» con Nour di Massimo Zaccaro, storia di un bambina siriana, salvata dal naufragio del barcone a Lampedusa. Valeria aiuta la bambina migrante a ritrovare la madre grazie agli sforzi congiunti del medico (Castellitto) e suoi. Come giornalista Valeria parla arabo e accetta di porre questa sua prerogativa al servizio dei diseredati che non parlano italiano. Il libro si chiude con una serie di testimonianze, e un’utilissima analisi dei film e delle serie televisive interpretate dalla nostra attrice. Poi una serie di brevi confessioni autobiografiche: a me. Alla fine, grazie a Foschini, sembra anche a noi di conoscerla.

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