Le opere in ceramica da Miquel Barceló sono travolgenti. Trasudano vitalismo anche se rimane imprigionato nella materia. «Non è esattamente ceramica quella che faccio, sono pezzi di argilla cotta e talvolta nemmeno cotta, solo bagnata. Sono un’altra forma di pittura, dipinti tridimensionali».

COSÌ BARCELÓ ha introdotto la mostra Todos somos griegos alla Pedrera di Barcellona. Il suo approccio sperimentale è evidente nelle cento opere esposte, animate da uno stato di «trasformazione continua», in cui nulla è ciò che appare al primo sguardo. Sculture di dimensioni diverse vengono tagliate, accartocciate, ricomposte, affumicate e/o strangolate. I riferimenti sono i più vari: pitture rupestri, temi botanici, frammenti di anatomie corporee, scheletri di animali terrestri o marini che cercano di liberarsi dalla materia argillosa, pur rimanendone parte.

È IN MALI, dove Barceló ha vissuto per diversi anni, che nel 1994 ha iniziato a lavorare con l’argilla perché non riusciva a dipingere a causa di una tempesta di sabbia. Tornato a Palma di Maiorca, dove è nato nel 1957, ha lavorato la ceramica nei laboratori professionali presenti nell’isola. «Il cambiamento dai metodi tradizionali del Mali alle sofisticate tecniche maiorchine è stato come passare dal Neolitico al XXI secolo», precisa l’artista. E questo è visibile nelle opere in mostra, presentate in ordine cronologico, intervallate da dipinti, video e opere su carta. Nel cortile de La Pedrera è installato Pinocchio mort, la sua prima scultura in bronzo, ispirata da un cranio di scimpanzé trovato in Mali.
Nel video Paso Doble Barceló e il coreografo Josef Nadj eseguono una serie di azioni su un muro di argilla fresca. Lo aggrediscono, plasmandolo, violandolo, infondendogli vita con oggetti e azioni convulse che ricordano le performance del gruppo Gutai. I loro corpi diventano strumento e oggetto artistico al tempo stesso. Il fango passa da vittima a carnefice. «Alla fine della performance eravamo esausti. Josef è anche svenuto, ma si è ripreso dopo qualche minuto, per fortuna», ha affermato Barceló commentando il video della performance, commissionateli dal festival teatrale di Avignone e presentata nel 2007.

ALLA PEDRERA sono esposti anche i disegni preparatori del grande murale in terracotta di trecento metri quadrati realizzato per la cattedrale gotica La Seu di Palma di Maiorca. Un’opera monumentale creata nel corso di sei anni con il maestro napoletano Vincenzo Santoriello a Vietri sul Mare, e trasportata a Palma divisa in frammenti. Quelle divisioni sono importanti perché Barceló ha voluto installarlo come un grande puzzle che raffigura il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci, mettendolo in scena con un’iconografia profana che diviene un inno alla vita.

Dalla mostra alla Pedrera di Barcellona

NELLA COLATA D’ARGILLA i pesci prendono vita, accanto a loro emerge un bestiario acquatico composto da murene, polipi, aragoste, seppie. Insieme ai pani scolpisce pomodori, angurie, melanzane, grappoli d’uva. Altrettanto straordinaria è l’opera realizzata nel 2008 per la cupola della Camera dei Diritti Umani e dell’Alleanza delle Civiltà, in uno dei Palazzi delle Nazioni Unite a Ginevra.
Per due anni l’artista, assieme a una ventina di assistenti, ha trasformato la cupola ellittica in un oceano di colori, da cui emergono stalattiti marine dalle punte rosse, blu e verdi.
Todos somos griegos, curata da Enrique Juncosa (visitabile fino al 30 giugno), termina con alcune opere recenti intitolate Totem, sculture in argilla composte da mattoni di grandi dimensioni che vengono scolpiti, forati e impilati. Il Totem dorico-azteco è composto da mattoni che raffigurano capitelli ionici, serpenti aztechi e draghi cinesi, un universo sincretico che sembra provenire da scavi archeologici. «Ogni opera è sperimentale, è una prova per un’altra che probabilmente non esisterà mai. La ceramica è legata anche al mio interesse per la paleontologia e la storia delle civiltà extraeuropee», conclude Barceló soddisfatto.

La mostra racconta il suo viscerale viaggio tra argille e terracotte, iniziato alla fine degli anni ’80 quando le aveva inserite nei suoi dipinti per esplorare i limiti della pittura, e la curiosità che lo ha portato a sperimentare con quei materiali, reinventandoli.