Mio papà e Antonio Gramsci
Fulmini e saette Eftimios 10/41 Scrivevamo, Luis Razeto ed io, Eftimios aveva tre quattro cinque sei anni. Tutti i giorni, compresi sabati e le domeniche, Luis ed io scrivevamo un libro […]
Fulmini e saette Eftimios 10/41 Scrivevamo, Luis Razeto ed io, Eftimios aveva tre quattro cinque sei anni. Tutti i giorni, compresi sabati e le domeniche, Luis ed io scrivevamo un libro […]
Eftimios 10/41
Scrivevamo, Luis Razeto ed io, Eftimios aveva tre quattro cinque sei anni.
Tutti i giorni, compresi sabati e le domeniche, Luis ed io scrivevamo un libro a partire dai ‘Quaderni del carcere’. Avevamo scoperto che Antonio Gramsci in carcere era andato oltre il marxismo, aveva cominciato a costruire una nuova scienza, «scienza della storia e della politica» la chiamava lui, e volevamo avvertire il mondo che c’era un nuovo bandolo per sbrogliare la sua matassa aggrovigliata. Vivevamo una fase di «crisi organica», Luis veniva dal Cile di Pinochet (sfuggito fortunosamente ai suoi carcerieri), io dall’Italia di Berlinguer (che sognava di fare qualcosa di storico), bisognava capire, agire, presto e bene conoscere per trasformare.
Ogni tanto Eftimios faceva capolino nella stanza da letto e da studio della nostra casa tiburtina di fronte all’Appennino. Scambiavamo poche parole, lui ascoltava tutto e diceva l’essenziale. Lavoravamo all’università in quel periodo, Luis ricercatore a Perugia, sociologia, io a Roma, sociologia della conoscenza, e l’università entrava spesso nei nostri ragionamenti. Così un pomeriggio Eftimios entra nella stanza, va dritto alla mia cartella, la prende e si dirige verso la porta. Io: «Dove vai?» Lui: «All’università.
Nefeli qualche volta arrivava con i caffè. Senza vassoio, due tazzine e due piattini volanti, che più di una volta lasciavano buona parte sul pavimento. Poi schizzava allegramente via, finito il compito assegnatole dalla mamma. Ma rapida com’era a capire, qualcosa tratteneva correndo. Tanto è vero che un giorno si presentano lui e lei, Eftimios e Nefeli, con un foglio di carta scritto-disegnato a stampatello con un pennarello blu-azzurro di queste parole:
‘Gramsci è il capo dei comunisti ma l’hanno messo in carcere ed è morto. I comunisti del Cile stanno tutti morendo ma subito fanno la manifestazione e decidono di fare una guerra contro i fascisti. Il partito sta perdendosi ma con l’aiuto di mio papà vincerà tutta l’Italia. Noi dobbiamo vincere i fascisti con le nostre armi. Solo che vinciamo lo stesso con l’aiuto di mio papà.’
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